"ARTE ED EROTISMO
INDAGINE PSICANALITICA SULL’OPERA DI EGON SCHIELE" a cura di Pierfranco Luscrì  
                          
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                            “Gli adulti  
                            hanno  
                            dimenticato  
                            quanto erano  
                            corrotti essi  
                            stessi, 
                            eccitati e  
                            turbati  
                            dall'impulso  
                            sessuale  
                            quando  
                            erano ancora  
                            bambini. 
                            Io non ho  
                            dimenticato  
                            quanto  
                            terribilmente  
                            ne  ho  
                            sofferto.  
                            Io credo che  
                            l’uomo  
                            debba  
                            soffrire per  
                            la  tortura  
                            sessuale 
                            fin  
                            tanto che è 
                            capace di  
                            sensazioni  
                            sessuali” 
                             
                          Egon   
                          Schiele 
                           
                           
                          a. Introduzione  
                        Quanta importanza Freud conferiva  all’arte, per un effettiva comprensione delle teorie psicanalitiche, che male  si adattavano nel quadro di quel puro scientismo ottocentesco, è possibile  rendersene conto in numerosissime sue affermazioni. “L’inconscio”, scrive Feud, “lo  si vede da i suoi effetti”. Il quadro quindi, nella prospettiva artistica,  non è altro che l’effetto, la manifestazione tangibile e concreta di quel  qualcosa “tra cielo e terra che il  nostro sapere accademico neppure sospetta”. E’ sempre Freud ad affermare  che “la natura benigna ha concesso  all’artista di esprimere” proprio quei “moti segreti dell’animo”, quindi dell’inconscio. Ed è proprio l’inconscio,  prima di ogni altra cosa, che deve essere preso in considerazione come pura  verità assoluta, ancor prima di qualsiasi altro tipo di condizionamento  successivo, sia esso storico, sociale o culturale. Se si considera quindi la  creazione pittorica, o più generalmente quella artistica, come una tra le più  efficaci possibilità terapeutiche che l’uomo ha a disposizione per poter  rivivere inconsciamente quella perduta felicità prenatale che ogni individuo  tenta di ristabilire dopo la nascita, ci consente di capire ad esempio un  fenomeno molto interessante. La scarsissima (quasi nulla) presenza di donne nel  panorama artistico di tutti i tempi, mi porta infatti ad affermare che a  differenza dell’uomo, essa ha nella sua potenziale condizione di madre, una  possibilità creativa di smisurata efficacia. Attraverso un vero e proprio  transfert durante la gestazione del feto, la donna concretizza nel modo più  completo quell’incessante desiderio di “ritorno” che invece il maschio è  costretto a rivivere soltanto per mezzo della “creazione artistica”.  Quest’ultima diventa quindi il tramite tra il conscio e l’inconscio e  conseguenzialmente più che essere una comunicazione al di fuori della propria  persona, diventa una imprescindibile potenzialità dialettica tra se stessi e il  proprio essere. L’inconscio troppo spesso viene nascosto e recluso a tali  profondità da essere addirittura totalmente negato. Un tale atteggiamento non  fa altro che evidenziare una pericolosa incapacità di porsi senza ipocrisie,  senza falsi pudori, di fronte alla pura verità. Il plesso solare, che in questo  caso diventa una specie di passaggio obbligato, assume quasi la funzione di un  vero e proprio cordone ombellicale: il tramite attraverso i quale avviene  quell’interscambio vitale tra la persona ed il suo essere più profondo.  L’artista quindi, in questa sua privilegiata condizione, non arriva mai a  negare se stesso. Tutti gli stimoli che egli riceve attraverso il plesso solare  (ben più ampio in questo caso rispetto la norma), non vengono razionalizzati,  tradotti, quindi traditi dalla mente, ma vengono espressi nella loro  incodizionata purezza, cioè in quella espressione primaria, assolutamente  aliena ad ogni sorta di deviazione di “circostanza” tanto da venire a  determinare il concetto di un’arte senza tempo, di un’arte unica ed assoluta,  come molto chiaramente ha affermato lo stesso Sciele (1). L’opera d’arte  diventa quindi “l’incarnazione del verbo”. Ed è proprio per suo tramite, per  quella che si può essenzialmente considerare come “pura intuizione”, che è  possibile arrivare ad  attigere a quelle fonti che non sono ancora  state aperte alla scienza. Non dimentichiamoci poi con che tipo di  metodologia, assolutamente rivoluzionaria, proprio in quegli stessi anni  Einstein approdava alle sue teorie sulla relatività. In primis, quindi, una  corretta metodologia di analisi critica di qualsiasi fenomeno artistico, sia  esso antico o moderno, non può assolutamente prescindere da tutta questa serie  di considerazioni, che oltre a dare una corretta ed inequivocabile visione del  fenomeno stesso, si pone anche, nella sua specificità ontogenetica, come riferimento  filogenetico assoluto. Per cui come già detto, per questa considerazione  “primaria” del fenomeno artistico in genere, potremmo effettivamente parlare di  un’arte al di sopra del tempo, al di sopra delle culture, al di sopra delle  società, quindi di una vera e propria arte assoluta. 
                          
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                        b. Capitolo unico  
                         Freud, nell’affermare che il complesso di  castrazione (angoscia relativa al pene per i ragazzi; invidia del pene per le  ragazze) costituisce la parte più significativa individuabile nei disturbi a  cui è esposto il narcisismo originario, mi fornisce un’importante chiave di  interpretazione su quella che in un primo tempo potrebbe apparire semplicemente  come un’ulteriore individuazione oggettiva nell’accezione erotica dell’opera di  Egon Schile. Osservando le opere in cui l’artista descrive la nudità dei corpi  femminili e maschili (questi ultimi quasi esclusivamente autoritratti) sono  stato colpito dal constatare con quanta enfasi (oserei dire ai limiti di  deformazioni di stampo espressionista) soffermasse la  sua attenzione sulle  porzioni genitali femminili e invece con quanta indefinitezza dissolvesse  quelle maschili. La descrizione dei pubi femminili infatti è esasperata da una  parossisticacolorazione arancione che generalmente viene a puntualizzare anche  altre parti del corpo come i capezzoli e le labbra (2) (Figure 1-2). La  situazione per quanto riguarda la componente maschile, viene invece palesemente  presentata in termini opposti. La schematizzazione del pene infatti, raggiunge  una tale vaghezza, da non essere più distinguibile nelle sue varie componenti morfologiche.  Nella maggior parte dei casi, anzi, è interessantissimo notare come le forme  risultanti ci diano un’idea alquanto ambigua sulla determinazione sessuale  dell’organo in  questione (Figure 3-4-5-6). Ed è proprio a tale proposito  che si crea la possibilità di una  correlazione ancor più stretta con ciò che costituisce il narcisismo, nella più  ampia prospettiva di una interpretazione psicanalitica. Difatti  una condizione di analoga indeterminabilità  sessuale degli apparati genitali si ha realmente nella condizione intrauterina  del feto nei primi quattro mesi di gestazione. Quindi se consideriamo che  nell’utero si concretizzano le perfette condizioni che determinano il  narcisismo ideale (annullamento di tutto quello che non sia propriamente se  stesso), questa dichiarata tendenza al “ritorno nel grembo materno” ci spinge  nel vivo di un vero e proprio caso di regressione thalassale di stampo  narcisistico.  A questo punto non posso  fare a meno di considerare quelle teorie che possiamo tranquillamente definire  tra “… le più appassionanti e  liberatorie del nostro secolo…” (3), che il più importante ed autorevole  discepolo di Sigmund Freud, Sandor Ferenczi,   ha con tanta chiarezza espresso nel suo trattato sulla psicanalisi delle  origini della vita sessuale :  “Thalassa”. La lettura di questo testo sorprende  per quanto riesca ad arrivare all’esenza. “…Esso  è un tentativo di spingere il cammino della psicoanalisi verso un metodo di  investigazione universale. La psicoanalisi diverrebbe così uno strumento  complementare delle scienze, della natura, della biologia, della paleontologia,  della medicina e persino, volendo spingere all’estremo le sue conseguenze,  della chimica e della fisica…” “…La lettura di questo libro in un primo tempo  ci sconcerta, poi a poco a poco, ci fa penetrare in un universo strano ed  affascinante…” (4). Il problema, quasi banalmente, si avvicina a quella  normale sintassi che tradizionalmente si conviene ad una trattazione artistica,  quando si arriva ad affermare “…Noi  usiamo il nostro corpo per la simbolizzazione, così come l’artista si serve dei  suoi materiali per creare l’opera d’arte.  Ma in entrambi i casi si tratta di  realizzare i desideri rimossi e ciò è possibile poiché il nostro corpo improvvisamente  funziona come linguaggio…”(5). Come il nostro corpo e la nostra psiche non  sono altro che l’esempio vivente di una rimozione ontogenetica di quella che  potremmo definire in senso più vasto, e cioè filogeneticamente, come un’eredità  pervenutaci addirittura dagli albori della materia organica, anche un’opera d’arte,  un quadro, possono essere presi in considerazione come ulteriori mezzi di  rimozione. La rimozione è essenzialmente istintiva e nella prospettiva  bioanalitica teorizzata dal Ferenczi, si esprime come una componente di  importanza vitale. Essa può essere anche artificiosamente provocata per il  ristabilimento entro una certa normalità di determinati squilibri psicosomatici  (psicoterapia). Il corpo è quindi un linguaggio, tanto quanto lo è il modo con  cui se ne fa uso (comportamento). Una sorta di banca dati dalla quale abbiamo  la possibilità di apprendere una serie infinita di informazioni riguardanti non  solo l’aspetto ontogenetico del singolo, ma persino quello filogenetico della  specie, per arrivare poi, volendo ancora una volta spingere all’estremo le  conseguenze, ad una vera e propria filogenetica della materia (dalle sue  ori gini inorganiche). Ad esempio, “…partendo  dalle molecole di proteine animali si potrebbe ricostruire tutto il passato  vegetale ed animale (in senso assoluto)…” (6). In ogni caso però,  nonostante l’estremo fascino di questa prospettiva ad ampio raggio, sarà la  “tendenza alla regressione” che agisce nella vita psichica, come in quella  organica, che ci permette di entrare più propriamente nell’opera di Egon  Schile. Inanzi tutto bisognerà tenere sempre presente un dato molto importante  per ciò che seguirà: “ …l’uomo sin dalla  sua nascita cerca di ristabilire la situazione in cui era nel grembo materno e  che egli tende alla realizzazione di questo desiderio in maniera costante e  magica attraverso allucinazioni negative e positive. Seguendo questa  concezione, l’uomo raggiungerebbe il completo sviluppo del suo senso della  realtà rinunciando definitivamente a questi mezzi regressivi per trovare un  compenso nella realtà. Questa evoluzione però, non si produce che per una parte  della nostra personalità; nel sonno e nei sogni, nella nostra vita sessuale e  nelle nostre fantasticherie, ci sforziamo fino all’esaurimento delle nostre forze  di realizzare questo arcaico desiderio…” (7) Purtroppo per noi però questo  rimarrà per sempre un pio desiderio, in  quanto un ritorno effettivo sarà  naturalmente irrealizzabile. Ecco allora che entrano in campo quelle  possibilità che la psiche automaticamente si crea al fine di poter almeno  rivivere ritualmente, in senso allucinatorio, in certi limitati momenti, quella  paradisiaca condizione intrauterina così traumaticamente abbandonata con la  nascita. Il coito e il sonno sono le due principali modalità con cui  l’individuo maschio concretizza questa tendenza regressiva. Per quanto concerne  il sonno è quasi superfluo citare quegli elementi che ci portano ad una stretta  relazione (identificazione) del dormiente con il feto. Dalla scontata posizione  ad uovo, atutte quelle che sono le temporanee modificazioni bioritmiche che  l’organismo, in un vero e proprio stato regressivo, opera in questa condizione  di rilassamento totale. A tale proposito, l’identificazione che la donna ha nel  feto durante la maternità, ed ancora l’identificazione del sonno (morte) con la  condizione intrauterina, si possono facilmente ritrovare in un quadro di Schile  del 1910, Madre morta (Figura 7). E’  interessantissimo notare a tale proposito come il pittore viennese tenda  spesso, nella raffigurazione di tale tema (ricorrente anche in altre opere come La nascita del genio del 1911 oppure Sacra famiglia del 1913, vedi  figure 8-9)  ad una visione simultanea sia della madre che del feto, il quale  viene inglobato in un circostanziato ed irregolare spazio ovoidale (messo  particolarmente in evidenza dal netto contrasto cromatico della massa scura del  manto materno. Manto del resto, che si pone simultaneamente sia come utero-contenitore  interno- sia come avvolgenti e morbide fasce-contenitore esterno-) Il coito  invece è molto meno conosciuto come rito allucinatorio di un momentaneo e  parziale ritorno nel grembo materno. La grande “immoralità” del complesso  edipico, che trova inveece libero sfogo nei sogni, è uno dei tanti aspetti  dell’inconscio che la morale, aquisita dall’individuo dopo la nascita  attraverso l’imprescindibile stratificazione culturale e sociale, tenta sempre  e comunque di occultare, servendosi molto spesso di una certa falsa metodologia  scientifica. “…Ogni scienza attacca con  l’indagine i problemi della natura secondo linee facilitanti che permettono un  più facile inizio, ma che la limitano, perché la natura dimostra spesso di  essere più complessa di ciò che appare ad un primo approccio…”(8).  Prendendo in considerazione soltanto il processo di regressione attraverso  l’atto sessuale, dal punto di vista del maschio risulteranno interessantissime  alcune costatazioni in merito. E’ infatti proprio attraverso il processo di  autoidentificazione nel pene prima e nel liquido  seminale poi, che l’individuo  rivive, ripercorrendolo in senso inverso, il passaggio coattamente subito da un  ambiente liquido ad uno aereiforme (da un’assimiliazione branchiale  dell’ossigeno ad unapolmonare). Esso può raggiungere in certi casi delle  situzioni limite in cui vengono espressi veri e propri desideri di castrazione.  Una così drastica situazione merita però una ulteriore puntualizzazione. “…In alcuni animali gli zoologi hanno  notato un modo di reazione singolare, l’autonomia. Questa consiste  essenialmente nel fatto che l’animale stacca dal suo corpo, cioè lascia cadere  nel vero senso della parola, per mezzo di particolarimovimenti muscolari quei  suoi organi che vengono a trovarsi in uno stato di eccitamento troppo forte e  che sono in qualche maniera fonte di dolore (precursore biologico della  rimozione) …”(9). Quindi la somma delle quantità di eccitamento di tutte le  parti del corpo che viene ad essere accumulata nell’apparato genitale, si  scarica in una tendenza non perfettamente riuscita a staccare l’organo genitale  dal corpo. L’organismo dovrà accontentarsi così soltanto dell’evacuazione del  liquido seminale. (Figura 4). Da questo breve exursus inerente a quelli che sono  soltanto alcuni tra i più importanti aspetti psicoanalitici della vita  sessuale, emergono dei dati a noi molto significativi. L’atto sessuale  manifesta essenzialmente un processo liberatorio, che ha nell’orgasmo il suo  acme. E’ l’esigenza di scaricare, come si è già detto, uno stato di “tensione”,  una forte angoscia che si accumula periodicamente (10). E’ l’angoscia della  grande rinuncia che ogni individuo è costretto ad accettare al momento di  quella nascita che paradossalmnte si trasforma in una rinuncia alla vita.“…Le prime manifestazioni di esistenza del  neonato mostrano anche che lo shock traumatico provato al momento della nascita  e in particolare la compressione subita nel canale ostetrico, non provocano  soltanto angoscia, ma anche collera; lo stesso si ripeteal momento del coito…”(11).  Abbiamo quindi un’interessantissima serie di coinvolgimenti emotivi che  l’individuo vive durante l’accoppiamento, rimuovendo ancora per suo tramite un  passato che mai più potrà dimenticare. Si parla perciò di tensione, angoscia,  collera, vita, morte.E’ incredibile constatare con quanta precisione si  ritrovino questi stessi elementi nell’opera di Egon Schiele. Quanta tensione  infatti scaturisce da quella l inea tanto tagliente, guizzante, profondamente  incisiva, con la quale l’artista esaspera, comprimendone al suo interno attraverso  una analitica scomposizione a tasselli, una vibrante e frenetica materia  pittorica. Ed ancora quanta tensione emotiva, quasi imbarazzante per il  fruitore viene emanata dagli sguardi penetranti, dalle pose plastiche dei suoi  conturbanti modelli. In questo senso è impresionante notare come i due momenti  fondamentali in cui si divide l’atto sessuale, e cioè il contenimento forzato  dell’accumulo di energie prima e della scarica violenta, quasi esplosiva,  dell’orgasmo poi, siano riscontrabili distintamente in compressione ed  espasione di questa nostra materia pittorica. Il colore sisovrappone, si  accumula tettonicamente in stesure che tendono quasi una ad annullare l’altra.  Esso si comprime a tal punto da raggrumarsi in vere e proprie incorostazioni di  una densità  emotiva di alto valore lirico. (Figura 10). A volte invece il colore  esplode in delirante agitazione. Non è più frutto di lente e travagliate  sovrapposizioni, ma di rapide ed incisive stesure, in cui il frenetico lavorio  operato dal pennello viene ad esaltare un convulso ed incessante dinamismo (Figura 11-12). La sensazione d’angoscia che si avverte in numerosi quadri di  Schiele, viene ad assumere valori emozionali differenti, grazie alle svariate  caratterizzzioni che le diverse modalità pittoriche conferiscono alle opere in  questione. In ogni caso però è necessario precisare il fatto che in tutta  l’opera è constantemente presente un certo stato di angoscia latente, che  andrebbe considerata in questo caso in un ottica  essenzialmente unitaria.  L’angosciosa malinconia espressa dall’oggettività dalle pose di alcuni modelli,  dagli sguardi assenti, quasi fissi nel vuoto di alcuni spledidi ritratti  (Figura 13), trova la sua vera capacità d’espressione in quella delicatissima  soluzione pittorica della superfice, resa in armonica simbiosi con la linea di  contorno delle figure. Qust’ultima, pur abbandonando la sua tradizionale e  fredda regolarità geometrica, rimane estremamente equilibrata,  rigorosamente  costruttiva. Il colore, componendosi di quelle leggerissime sovrapposizioni che  Scilele riesce con grande abilità a modulre sulla superfice del quadro, è come  se chiudesse in sé, immobilizzandole, quelle pulsioni interiori che  caratterizzano ogni tipo di dinamismo emotivo. Abbiamo invece gli elementi per  poter parlare di un diverso coinvolgimento emozionale quando la linea comincia  a spezzarsi, a sfilacciarsi, quasi a vibrare in un vero e proprio atteggiamento  pittorico di emancipazione rispetto alla pura stesura cromatica (diventando  essa stessa colore). Ed ancora quando la materia pittorica abbandona quella tranquillità  sia strutturale che cromatica,per arrivare ad agitate  e frammentarie stesure,pur rimanendo ancoradichiaratamente stratificata (Figura 14). Il colore si avvia cosìverso un certo  dinamismo, anche se ancora forzatamente compresso entro una prototensione  d’angoscia, per poi  esplodere come abbiamo già vistnell’espressione di una  materia pittorica in stto di frenetica agitazione.Il suo perdurare così si  trasformerà in spasmodica ricerca di un qualcosa di vitale importanza. E’ la  senzazione che il feto prova al momento della nascita. Per alcuni secondi non  può più respirare; è confusa e convulsa l’uscita verso la vita. Così l’angoscia  si mescola alla rabbia di dover con tanta violenza drasticamente abbandonare il  caldo ed accogliente grembo materno. Ed è con la stessa collera che Schiele si  raffigura in dolo rosissime visioni di allucinanti castrazioni (Figure 3-4-6).  Anche l’interazione tra vita e morte alla luce delle teorie ferencziane,  acquista ulteriori ed importanti chiarifiche, quanto mai  valide rispetto alla normale considerazione  che la critica ufficiale conferisce al problema.”…Tutto nella vita è morte, annota nel suo diario Schiele. Ma questo  non significa una dichiarazione di pessimismo assoluto, semmai che ogni  condizione è attraversata da forze complementari e diversificanti che minano  ogni certezza ed ogni percezione. Allora il sentimentoo della vita non  significa soltanto vitalità, ma anche il suo complemento della morte che, per  questo, non è proprio il suo contrario…” (12). Bisognerebbe quindi rivedere  e rettificare quel concetto di “morte” che nell’opera di Schiele non può più  essere considerato nella sua normale accezione. Quando certi osservatori,  riferendosi alla materia pittorica dell’artista viennese, parlano di  putrefazione, di disfacimento, volendo così indicare un processo di  smembramento, di decadimento verso la morte, forse non sono a conoscenza  dell’enorme quantitativo di vitalità organica contenuta nella materia in  decomposizione. Ed è proprio in essa e grazie ad essa che il ciclo biologico  della rigenerazione può avere il suo corso. In ogni caso, anche quando non si  ha rigenerazione, ma il processo si ferma alla semplice scomposizione della  materia nei suoi elementi fondamentali (inorganici), possiamo notare una certa  vitalità.”…In effetti i fisici dicono  che nella materia apparentemente morta, può scorgersi un’interessantissima  agitazione; dunque anche se di carattere meno labile, si tratta anche qui di  vita. Della vera morte, del riposo assoluto, i fisici ne parlano al massimo solo  in teoria, quando affermano che ogni energia esistente, stando al secondo  principio fondamentale della termodinamica, è condannata alla morte per dissipazione…” (13) (entropia assoluta). Del resto è Schiele stesso ad affermare “…fin tanto che esisteranno  gli elementi, neppure la morte assoluta sarà possibile…” “…Dovremmo dunque definitivamente abbandonare la questione concernente  l’inizio e la fne della vita e dovremmo immaginare tutto l’universo organico e  inorganico come un incessante viavai tra le tendenze di vita e di morte, in cui  ne la vita ne la morte arriverebbero a regnare da sole…” (13).  Tornando più propriamente al nostro discorso,  dovremmo ricordare anche il fatto che la stessa scienza naturale afferma che  non si ha vita senza partecipazione delle tendenze alla morte. Non a caso Freud  ha messo in evidenza l’azione degli istinti di morte in tutto ciò che è  vivente. “…Anche nella morte, come nel  sonno e nel coito, si ritrovano dei caratteri simili alla regressione  intrauterina…” “…Tutto avviene come se, anche nei sintomi dell’agonia, si  celassero dei caratteri regressivi che tenderebbero a modellare la morte  sull’esempio della nascita…”(14). L’identificazione della nascita nella  morte e viceversa (che come abbiamo già detto avviene per la prima volta  nell’individuo al momento del parto) raggiunge una vera e propria identità  simbolica, in quelli che potremmo considerare filogeneticamente come Miti,  Misteri, Religioni, Sogni. Un esempio su tutti: Morte e Resurrezione di Gesù  Cristo. Il compito del figlio di Dio era proprio quello di far rinascere l’uomo  dal peccato originale (lavare tutti i peccati del mondo) attraverso la sua  morte. Una morte finalizzata alla resurrezione, quindi alla vita (eterna).  “…Amo l’autunno…” scrive Schiele “…non soltanto come una stagione dell’anno, ma  come una condizione dell’uomo e delle cose…”. Anche in questa dichiarazione  possiamo ritrovare la complementarietà tra nascita e morte. E’ nell’autunno  infatti che si avverte il cammino verso il freddo silenzio dell’inverno, in cui  tutto appare morto ma che poi rinasce nella solare vitalità primaverile. 
                           Nella pittura di Schiele, un elemento  riconducibile attraverso un’analisi interpretativa ad implicazioni  storico-culturali, potrebbe essere, come del resto già in Klimt ed in tutto il  Modernismo, il protagonismo della figura umana in un assenza di riferimenti  spaziali/prospettici. L’analisi però deve essere fatta in considerazione d  iquella componente esibizionistica, intesa come modo “istintivamente primo” di  preservare il proprio egocentrismo/narcisismo (una delle prime necessità  infantili) da una situazione storicamente e culturalmente precaria. Ciò è  confermato ancor più palesemente anche quando i valori si invertono. Infatti  nel momento in cui Schiele dipinge la città, il paese, il piccolo agglomerato  di case, non si pone mai all’interno sdi essi e ne descrive soltanto la  totalità, in una isione quasi assonometrica (Figure 15-16), denunciando  un’effettiva incomprensione con la società urbana. Si mantiene però nei paraggi  in quanto un definitivo allontanamento risulterebbe fatale per la pura e  semplice sopravvivenza. In questo senso la puntualizzazione di Achille Bonito  Oliva risulta molto efficace  “…Nell’ambito  della storia dell’arte occidentale, il rapporto armnico dell’io con il mondo  era rappresentato dalla forma simbolica della prospettiva, in cui la figura  umana rappresentava, seppur in maniera sempre più problematica…” (Rinascimento-Barocco-Romanticismo) ”…una centralità gratificante…” (15). Tali considerazioni ci spingono quindi ad ipotizzare che l’isolamento  della figura umana, in ambedue casi, possa essere interpretata come l’istintivo  rifiuto all’integrazione sociale. Questa realtà (natura-società) dunque non è  più in grado di assolvere in sé la secolare funzione di “contenitore  protettivo”. Come possiamo però notare, permane anche in questo tipo di  analisi, parlando di componente esibizionistica, intesa come modo  istintivamente primo di preservare il proprio egocentrismo/narcisismo, il  nostro comune denominatore che è l’interpretazione psicanalitica e che conferma  anche in questo caso il suo inprescindibile contributo. Il problema perciò, se  approfondito secondo questa prospettiva, ci porta ad ulteriori considerazioni. “…L’erotismo delle figure è costreto a  ripegare su se stesso, la mancanza di sfondo impedisce di trovare dei  riferimenti alla carica erotica che accartoccia e piega la figura del modello…” (16) in pose che rasentano un’artificiosità barocca (da ricordare a  proposito le due sculture del Bernini :  “…L’estasi  di S.Teresa e la Beata   Ludovica Albertoni, le più conturbanti tra quante ne ha  lasciate il seicento…) (17). “…la  cancellazione del fondo esaspera naturalmente la presenza antropomorfica,  annulla ogni possibilità di relazione col mondo ed evidenzia l’autoerotismo  delle figure…” (18). Così sulla tela che diventa uno specchio per Narciso,  Schieleesprime quel processo interiore, quell’erotismo onanistico, che riesce  ad intrattenere relazioni, ad avere gratificazioni, soltanto con se stesso.  Dunque sotto questa luce risulterà straordinariamente chiara una costatazione:  Schiele nei suoi quadri erotici rappresenta sempre un unico protagonista.  Infatti anche quando le presenze antropomorfiche sono due, o addirittura tre  (Figura 17) il quadro diventa oltre alla  rappresentazione del singolo soggetto,  anche la rappresentazione della sua immagine speculare, il suo doppio (Figure  18-19-20). Ciò è riscontrabile nel constatare una certa somiglianza tra le  figure dello stesso quadro. In questo caso i caratteri delle due immagini  assumono le similitudini di un vero e proprio sdoppiamento, mentre in altri si  verific una identificazione oggettiva-immaginativa laddove noi vediamo semplici  fantocci senza vita, che invece vengono investiti e trumentalizzati  eroticamente dal soggetto (Figure 21-22-23). 
                           C’è chi ha definito la pittura di Schiele  come un “teatro delle spoglie”, la rappresentazione di ciò che resta dell’eros,  l’immagine come resto dell’erotismo, disarticolato, mutilato, putrefatto. Ma  putrefazione, mutilazione, disarticolazione esprimono tutt’altro che il termine  di un ciclo. Non è la “fine” ma il “durante”. E’ impressionante costatare a  tale proposito con quanta chiarezza traspaia dai suoi disegni una grande   rapidità di esecuzione che gli permetteva di cogliere istantaneamente il  divenire di quel rapporto interttivo che improvvisamente si creava tra lui ed  il modello(19). Non dobbiamo dimenticare a tale proposito che Schiele è sempre  stato considerato come uno tra ipiù geniali disegnatori del nostro secolo.  Inoltre chi meglio della vitalità dei suoi colori, ottenuti per un complesso e  frenetico lavoro di stratificazioni riesce a far rivivere allo spettatore  quella polluzione interiore esplosa entro il forte segno di contorno dei suoi  soggetti? Si è portati a percepire, anche quando le figure si danno in stato di  rilassamento, quel  perdurare dell’orgasmo in fremiti e quasi impercettibili  sctti nervosi, attraverso uno spasmodico lavorio che la materia pittorica opera  sulle superfici crnose, investendo ed influenzando “espresionisticamente” tutto  lo spazio circostante. Quindi non più materia in putrefazione, ma materia in  frenetico pulsare. Non più congelamento dell’atto erotico ma dinamismo del  desiderio, che rivivrà continuamente attraverso un altro rapporto di grande  amore: quello con lo spettatore. Anch’egli verrà trascinato nel vortice di un  erotismo onanistico. Infatti l’energia che in Schiele viaggia da lui  all’identificazione di se stesso nel modello (constatare a tale proposito l’alto  numero di autoritratti), si libererà da questo circuito chiuso ed  andrà ad  investire il fruitore, il quale per reazione sarà portato inconsciamente a  strumentalizzare quella che in un primo momento appare come semplice immagine.  Si creerà così un rapporto satellite in cui lo spettatore rivivrà,  ripercorrendolo, lo stesso processo di stimolazione narcisistica che il pittore  in primis aveva ricercato ed avuto nel modello. L’atmosfera entro la quale le  figure di Schiele consumano quel loro gioioso dramma di orgasmico dolore (che  raggiunge i vertici più alti proprio negli autoritratti, in quanto in essi non  c’è autoidentificazione immaginativa, ma identità oggettiva) è talmente  penetrante e sconvolgente, da ipnotizzare letteralmente lo spettatore. Egli  verrà spinto ad investire della propria energia la cruda materia pittorica, lacarnosa linea del disegno, tanto da “alitarne” la vita. Perciò in quel breve ed  infinito istante non sarà soltanto mero spettatore,ma donerà energia, grazie  alla quale l’opera d’arte continuerà a vivere. Sarà quindi prorio il fruitore  che, investendo il quadro della propriaidentificazione, diventerà temporaneamente artista, vivendocosì una sorta   di transfert creativo.La  possibile specularità introspettiva che le opere di Schiele offrono a chi ne  subisce il fascinoipnotico, hanno da sempre scandalizzato quel perbenismo,  quel moralismo ipocrita di chi, come ponendosi di fronte ad uno specchio, ha  avuto paura di riconoscere se stesso. 
                        Egon Schiele è stato un uomo che ha saputo senza vergogna porsi in  stretto contatto e in franca relazione con il proprio essere. La sua  opera,  non ponendo alcun limite al  proprio linguaggio, si è saputa e si saprà sempre imporsi al di fuori  e al di sopra del suo tempo solo ed  esclusivamente come “…Arte e basta!...” (1).  
                         
                         
                        Da  “ Il mondo di ieri”  di Stefan Zweig 
                        “… Non ci volle molto perché noi  scoprissimo che tutte le autorità alle quali avevamo prestato fiducia, la  scuola, la famiglia, la morale pubblica, nel campo sessuale si comportavano con  strana insincerità, non solo, ma in esso da noi esigevano segretezza ed  ipocrisia… 
… Quell’epoca sfuggiva al problema della  sessualità con paura, per un senso di incertezza interiore… 
… In quest’illusione di temperare con  l’ignoranza, s’accordano tutte le istanze, giungendo ad un boicottaggio comune  per mezzo del più ermetico silenzio. La scuola e l’assistenza ecclesiastica, il  salotto e la legge, il giornale e il libro, la moda e il costume, persino la  scienza… 
…Noi dopo Freud sappiano come chi cerchi  di respingere dalla propria coscienza impulsi naturali, non li annulla, ma  solamente li sposta pericolosamente nel subcosciente… 
… Anche gli psichiatri, benchè se ne  rendessero conto in molti casi sull’etologie di molte forme isteriche, non  osavano ammettere i dati di fatto. Si legga in Freud come persino il suo  venerato mestro Charcot gli confessasse in privato di conoscere perfettamente  la vera causa, ma di non averla mai rivelata in pubblico… 
…Se la sessualità non poteva essere  abolita nel mondo, bisognava che almeno non fosse visibile in quello dei buoni  costumi… 
… Quanto più una donna doveva apparire  signora, tanto meno se ne dovevano riconoscere le forme naturali… 
… Questa saggia morale dimenticava però  totalmente che, se si chiude ala porta al diavolo, questi rientra per la  finestra o per un’altra porticina. Quel che colpisce il nostro sguardo  spregiudicato d’oggi in questi abiti, che celavano disperatamente ogni traccia  di pelle nuda e di chiare forme, non è la loro moralità, ma al contrario che  quella moda metteva in luce con aperta provocazione l polarità dei due  sessi…(21) 
                        … Come la metropoli, sotto le strade ben spazzate con le belle vetrine e  le passeggiate eleganti nascondono la canalizzazione dove confluisce la lordura  delle cloache così la vita sessuale della gioventù avrebbe dovuto svolgersi invisibile  sotto la superfice morale della società…” 
                          
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                        c. Note 
                        
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“Die Aktion” 16 aprile 1914, “…non  esiste un’arte moderna. L’arte è una sola, perenne. L’arte      rimane sempre la stessa: arte e basta”      Egon Schiele  
                           
                          - 
                            
E’ interessantissimo citare a proposito,  soprattutto alla luce delle consiiderazioni sulla regressione thalassale che  faremo più tardi, alcune righe tratte dal diario scritto da Schiele nell’anno  della sua detenzione : “…19 aprile 1912. In cella ho dipinto il mio giaciglio. Un  arancione brillante al centro delle lenzuola grigio sudice, che mi è stato  portato da V., unica luce che splenda nella mia cella. La piccola chiazza di  colore mi ha fatto un bene indicibile…”. 
                           
                          - 
                            
“Thalassa” prefazione, pag.7 
                           
                          - 
                            
vedi nota 3 
                           
                          - 
                            
“Thalassa” prefazione, pag.11 
                           
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“Thalassa” pag.105 
                           
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“Thalassa” pag.39 
                           
                          - 
                            
“La comunicazione animale”, introduzione 
                           
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Non a caso Schiele scriveva “…io credo  che l’uomo debba soffrire per la tortura sessuale fintanto che è capace di  senzazioni sessuali…” dal diario del carcere, 1912 
                           
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“…sappiamo d’altronde da Freud che  l’angoscia implica sempre una ripetizione della penosa sensazione provata nel  corso del trauma della nascita…” “…la stretta parentela tra angoscia e libido è  una delle tesi di base di Freud. Le prime comunicazioni psicoanalitiche di  Freud mettono già in evidenza che i sintomi della nevrosi di angoscia e le  emozioni del coito sono della stessa natura…”    Da “Thalassa” pag.51e pag. 52 
                           
                          - 
                            
“Thalassa” pag 53 
                           
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“Egon Schiele”, di Serge Sabrsky, pag.26 
                           
                          - 
                            
“Thalassa” pagg. 112-113 
                           
                          - 
                            
“Thalassa” pag. 114 
                           
                          - 
                            
“Egon Schiele” pag. 27 
                           
                          - 
                            
vedi nota 15 
                           
                          - 
                            
“Storia dell’Arte Italiana” Argan, 3°  volume 
                           
                          - 
                            
“Egon Schiele” pag.29 
                           
                          - 
                            
“…un polluzione del mio amore. La ragazza  venne, ne riconobbi il volto, l’inconscio, le mani da lavoratrice. Fui  costretto a raffigurarla perché si mostrava così e perché mi era così vicina…”  Egon Schiele 
                           
                          - 
                            
Schiele, dal diario dal carcere, aprile  1912 
                           
                          - 
                            
Vedere a proposito, il quadro di Tiziano  Vecellio “L’amore sacro e l’amore profano” 
                           
                         
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                        d. Descrizione figure  
                        
                          - 
                            
 Nudo sdraiato con calze nere, 1911 glielo dato  
                           
                          - 
                            
Nudo di ragazza seduta con calze nere,  1910 
                           
                          - 
                            
 Nudo maschile seduto, 1910 
                           
                          - 
                            
 Nudo virile (autoritratto) 1910 
                           
                          - 
                            
 Nudo virile accovacciato (autoritratto),  1917 
                           
                          - 
                            
Coppia autoritratti, 1912 
                           
                          - 
                            
 Madre morta (1°), 1910 
                           
                          - 
                            
 La nascita del genio (madre morta 2°) opera  distrutta, 1911 
                           
                          - 
                            
La sacra famiglia, 1913 
                           
                          - 
                            
Processione,  1911 
                           
                          - 
                            
Prato, case e chiesa di Modling, 1912 
                           
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Albero spoglio dietro uno steccato, 1912 
                           
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 Ritratto del pittore Karl Zakovsek, 1910 
                           
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 Doppio ritratto (Heinrich Benesch e suo  figlio Otto), 1913 
                           
                          - 
                            
La città di Stein, 1913 
                           
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Case e panni stesi colorati, 1914 
                           
                          - 
                            
Tre donne in piedi, 1918 
                           
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 Due donne accovacciate (opera incompiuta),  1918 
                           
                          - 
                            
 Due uomini accovacciati (opera incompiuta),  1918 
                           
                          - 
                            
Doppio autoritratto (colui che vede se  stesso), 1910 
                           
                          - 
                            
Coppia seduta, 1915 
                           
                          - 
                            
Donne abbracciate, 1915 
                           
                          - 
                            
Donne recline, 1915 
                           
                           
                          
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                        e. Bibliografia 
                        
                          - 
                            
IL MONDO DI IERI     Stefan Zweig, Mondadori
                                
                                
                           
                          - 
                            
STORIA DEL MOVIMENTO PSICANALITICO.  INTRODUZIONE AL NARCISISMO    Sigmund  Freud, Neuton Compton 
                                 
                               
                           
                          - 
                            
THALASSA, PSICOANALISI DELLE ORIGINI  DELLA VITA SESSUALE    Sandor  Fernczi, Astrolabio 
                                 
                               
                           
                          - 
                            
LE AVANGUARDIE ARTISTICHE DEL NOVECENTO     Mario De Micheli, Feltrinelli 
                                 
                               
                           
                          - 
                            
STORIA DELL’ARTE ITALIANA    G.C.Argan, Sansoni 
                                 
                               
                           
                          - 
                            
L’ARTE MODERNA vol 3°(secessionismo,  espressionismo, faovismo)    Fratelli  Fabbri 
                                 
                               
                           
                          - 
                            
LE ARTI A VIENNA, LA BIENNALE, EGON SCHIELE    Roudolf Leopold, Mazzotta 
                                 
                               
                           
                          - 
                            
EGON SCHIELE    Serge Sabarsky, Mazzotta 
                                 
                               
                           
                          - 
                            
EGON SCHIELE    Luigi Carlucci, Galleria Galate Torino 
                               
                             
                           
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EGON SCHIELE, GOTICO LINEARE  E MODERNO    Dino Pasquali, arterama, 1971 
                                 
                               
                           
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L’OPERA DI SCHIELE    Gianfranco Malafarina, classici dell’arte  Rizzoli 
                                 
                               
                           
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SCHIELE E IL VERDE    Giovanni Mariotti, Franco Maria Ricci,  settembre 1982 
                                 
                               
                           
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FRA KLIMT E SCHIELE    Haerdtl Carmela, Domus 1968 
                                 
                               
                           
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PITTURA VISIONARIA E METAFISICA. L’ARTE  NELLA SOCIETA’    Anna Cavallaro,  Fratelli Fabbri 
                                 
                               
                           
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LA COMUNICAZIONE ANIMALE    Robert  A.Hinde, Universale Laterz 
                                 
                               
                           
                         
                          
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                        f. " Io e Schiele" di Pierfranco Luscrì (ipotesi per un diaro e poesie)  
                        Stanotte deve aver piovuto. La prima luce  dell’alba entra. La finestra che mi porta la luce del sole, lassù, in alto nel  muro, è una specie di ferita malsuturata da sbarre di ferro. E’ come uno  squarcio che sbocca ancora sangue, sangue fresco ogni giorno Ogni giorno,  nuovo. Proprio come un miracolo. Il miracolo di ricordarmi che fuori c’è ancora  vita, che fuori c’è verità. Una verità che non vuole essere vissuta nascosta  tra le mura domestiche della propria alcova, consumata furtivamente tra le  pareti della propria ipocrita e falsa morale sociale. Essa ha bisogno di  librarsi nel cielo, nel vento, di scorrere fluida nelle fresche acque di fiume,  di rotolarsi gioiosa sulla nuda e umida terra, senza quella paura di chi crede  di rimanerne sporcato. Una verità schietta, come l’albero temporaneamente  spoglio che staglia i suoi rami nel terso cielo d’autunno, mostrando senza  vergogna questa sua “altra “ realtà. Io sono qui, rinchiuso tra queste fradice  mura, ammuffito come la grigia coperta con la quale mi avvolgo. Rannicchiato  fitto fitto, lotto contro la morte. Forse lotto solo contro me stesso. Contro quella  parte di me che vorrebbe cedere. Quella parte di me che sento sempre più stanca  e priva di risorse residue. Mi hanno tolto la libertà perché ho sempre amato la  luce del sole. “…le tue porcherie, se vuoi farle, ora falle lì dentro!…).  Pretendono che tutti si comportino nella stessa maniera. No, io non sono come  loro! Non voglio nascondermi quando faccio l’amore, non voglio occultare la mia  franca pittura. Ne morirei soffocato! Essi sono convinti che quanto più si  celano le cose naturali, tanto più si moderano le forze anarchiche. Quanta  ipocrisia! Sono riusciti a far diventare il sesso una cosa sudicia di cui  vergognarsi. Una cosa da vivere nel modo più squallido dietro quel loro falso,  falsissimo perbenismo borghese! Diminuisce la libertà di esprimere il proprio  corpo ed aumentano a vista d’occhio i bordelli. La prostituzione dilaga nelle  strade di Vienna. Una vera e propria folla di donne venali, di giorno denigrata  e gettata come frutta marcita, di notte raccolta ed amata furtivamente al  sicuro da occhi indiscreti. Ed è proprio la notte ad essere testimone di questo  amore comprato sull’orlo di una piazza da quello stesso mio carnefice. La  morale non nega, nasconde! Questa morale non vieta di fare l’amore con una  puttana invece che con la propria consorte. Questa morale esige solo il  silenzio, l’oscurità. Ciò che è scandaloso di giorno è lecito di notte. Che  gioventù potrà mai venir su se un padre sporcaccione di sera picchia e  rimprovera di giorno la figlia perché ha rivolto con sguardo peccaminoso un  saluto ad un uomo? Sembrerebbe che il sesso non debba essere riconosciuto a  nessun costo pubblicamente, tantomeno in quelli che dovrebbero essere gli  schietti e sinceri rapporti familiari. Di questo delitto ne sono responsabili,  ancor più gravemente, tutte le istituzioni. Persino la scienza si ostina ancora  a marciare diritta per la sua strada, con ampi paraocchi ai lati. E’ poco degna  per essa trattare simili argomenti scabrosi. Io non sono un ipocrita, sia di  giorno che di notte sono sempre la stessa persona. E’ per questa ragione che  ora mi trovo prigioniero! Io non sono una persona immorale e malvagia. Non ho  commesso stupri, non ho rubato, assassinato, appiccato incendi, né ho offeso in  altra maniera la sensibile società umana, se non con la mia sola esistenza.  Dicono che le mie opere d’arte sono oscene. Nessuna opera d’arte erotica può  considerarsi oscena se è artisticamente significativa. Può diventare oscena  soltanto attraverso il suo proprietario, attraverso chi la possiede per tramite  dei suoi stessi occhi, della sua stessa sua mente.. L’opera d’arte è infatti  anche uno specchio che riflette quello che si cela dietro le apparenze. Chi  vede nei miei quadri solo sporca immoralità, non fa altro che vedere se stesso.  Ma perché bisogna negare il prorio essere? Perché bisogna negare  contemporaneamente il proprio passato ed il proprio presente? Perché bisogna  negare se stesi? Io non posso asolutamente allontanre da me ed ignorare quello  che ho sofferto, eccitato e turbato, da quegli impulsi sessuali che ogni  individuo, sin dalla nascita, è costretto a subire. Incomincia a far freddo.  Rannicchio le gambe sotto questa coperta, ma i mattoni del pavimento sono umidi  e freddi. Non posso neanche poggiare la schiena. Non ho più fame. Del resto  questa maleodorante brodaglia non riuscirebbe a corrompere neanche un cane  randagio. Quanto vale la libertà! Con quanto gusto, una volta libero,  apprezzerò anche una semplice scorza di pane…Voglio andar via di qui, voglio  fuggire! Non faccio altro che osservare le muffe sul muro, le infiltrazioni  d’acqua che a chiazze vivacizzano con tenui colori questa tomba murata,  prematuramente assegnatami da una falsa giustizia sociale. “…polvere, ragnatele, scracchi, tracce di sudore ed anche lagrime hanno  chiazzato l’intonaco scrostato di questo luogo. Le macchie sono più grandi dove  il tavolaccio tocca il muro e la mano di calce è stata grattata. I mattoni come  lucidati, paiono imbrattati di sangue, ben levigati e con uno scuro luccichio  untuoso. Adesso so cos’è una segreta - Questa ha l’aspetto di una segreta  sotterranea: la grossa serratura di sicurezza che non è possibile rompere con  una spallata o con un calcio, il buco della serratura coperto, il pancaccio di  assi grezze malamente commesse, la coperta grossolana tutta bitorzoli, che  puzza stranamente di acido fenico, o di lisolo, e di sudore umano e di muffa e  di lana grezza - chi ha osservato tutto questo ha osservato un’antica segreta,  una stanza degli orrori delle antiche fortezze d’un antico palazzo di città,  dove i prigionieri venivano buttati a marcire. Solo il pulsante del campanello  elettrico in capo al letto è fuori posto, è dei nostri giorni, è moderno. E  così so di non star sognando, di non avere visioni. No, non sogno, vivo, faccio  un’esperienza, a meno che tutta la vita non sia altro che un sogno popolato da  incubi…” (20). In questa squallida, tetra, quasi perenne penombra, tutto sembra  essere grigio, non solo il mio animo. Io ho bisogno di colore e senza di esso  mi sembra di vivere un vero incubo! Uno di quelli in cui ti viene da urlare ma  non ci riesci perché è come se non avessi più le corde vocali. Uno di quegli  incubi in cui vorresti scappare, ma una forza misteriosa ti appesantisce le gambe.  Il colore è vita ed io qui dentro sto morendo. Mi avvicino al muro che ho di  fronte, ne sfioro con la punta delle dita la superficie scabra, umida. Mi  avvicino a guardare più attentamente. Scopro improvvisamente quanta vitalità  può contenere un intonaco segnato dal tempo. Ha dei passaggi tonali  interessantissimi. Non ne avevo notato da lontano una tale bellezza. Mi  piacerebbe dipingerla se solo avessi una tela e dei colori! Ma qui mi hanno  proibito di fare certe “schifezze”… Se grattassi un po’ di quel mattone avrei  del rosso…le muffe andrebbero benissimo sia per il blu che per il giallo…No,  non va assolutamente! Devo provare a fare una nuova richiesta. Forse se mi  mettessi in ginocchio ai piedi del direttore…No! No! Vorrebbe dire umiliarmi.  Comunque io ci ho provato lo stesso. Sono passati tre giorni ed ancora non ho  ricevuto nulla! 
                        16 aprile 1912-“…Finalmente!  Finalmente! Finalmente! Finalmente un sollievo dalla sofferenza! Finalmente  carta, matita, pennelli, colori per disegnare e per scrivere. Erano una tortura  le ore selvagge, confuse, crudeli, quelle immutabili, informi ore grige che  dovetti trascorrere privo di tutto, tra i muri nudi e freddi, come un animale…” (20). E’ come se improvvisamente si fosse spalancato su di me un grandioso  cielo aperto e tutti i meravigliosi profumi della libertà si fossero  impadroniti della cattiva aria di questa mia prigione. Ora posso finalmente  respirare! E’ come se in questi giorni fossi caduto in un claustrofobico tunnel  sotterraneo, buio, umido e con pochissimo ossigeno. Ora con la pittura mi è  sembrato di riemergere, rivedere finalmente la luce del sole! Respirare a  polmoni a perti aria fresca e pulita! Ho voglia di dipingere un albero (fig.12)  con il cielo e la terra uniti da una sottile linea di orizzonte. Non c’è  differenza effettiva. La sostanza, la materia sono sempre le stesse. Tra cielo  e terra solo il colore è contrasto. La vitalità è comune ed o ne possiedo il  suo incessante movimento. Penso a quest’albero spoglio che penetra e pulsa nel  cielo carnoso, come se cercasse ed allo stesso tempo donasse sostanza di vita.  Terminazioni nervose nei suoi rami; tutt’attorno è fluida agitazione. L’albero  è il tramite tra il cielo e la madre terra. Per suo tramite penetro e posseggo  contemporaneamente il concreto e l’etereo, il reale e l’immaginario. Attraverso  il mio albero ritorno bambino. Forse soltanto pensiero. Addirittura forse  soltanto pura energia. Questo è il mio quadro della vita, ma anche e  soprattutto della morte, perché la morte non è la fine di tutto. La morte non è  altro che il dolce risveglio dal sonno della vita.  
                        RICOMINCIARE ANCORA 
                         MA  QUALE PROVA 
 DI QUESTO ESSERE  "ANIMA" 
                          E'  MIGLIORE DELLO SVEGLIARMI IERI NEL RICORDO DI DOMANI? 
                        AVERE IN PUGNO LA GRANDE POTENZA DEL VEDERMI GIA' MORTO E RINATO  
                          NEL SOGNO E NEL SEGNO DELLA GRANDE MADRE NASCOSTA  
                          MI ESALTA E MI APPAGA 
    
                          PER  TUTTO QUELLO CHE  ORAMAI NON VOGLIO PIU' CHIEDERE  
                          PERCHE' ALTRIMENTI COMINCEREI DACCAPO  
                          E DACCAPO NON POSSO 
                          IL DOLCE RICORDO RIMANE A NUTRIRMI  
                          SEMPRE 
                          COME SE FOSSE LA   PRIMA VOLTA                         
                           
                           
                         
                        ESTREMI 
                        ESTREMI DI UNO STESSO ESSERE 
                        FRATELLI INSCINDIBILI  
                          SENZA POSSIBILITA' ALCUNA 
                          DI PRETENDERE UNA STRADA DIVERSA 
                        DIVIETO ASSOLUTO DI   AMARE SE STESSO PIU' DELL'ALTRO DA SE 
                        DIVIETO ASSOLUTO COME UNICA LEGGE  
                          CREATA ED ODIATA  
                          PER NON CADERE NELL'INGANNO DI SCAPPARE LONTANO 
                        CREATA ED ODIATA 
                          PER NON MORIRE DISSANGUATI DI PENOSA NOSTALGIA 
     
                          CREATA ED ODIATA 
                          PER POTER CONTINUARE AD AMARE 
                           
                           
                         
                        SPECULAZIONE  NOSTALGICA 
                        QUANDO TI VIDI ALLO SPECCHIO 
                          MI ACCORSI CHE NON STAVI A ME INDICANDO LA VIA 
                        AD ALTRO DA ME   RIVOLGEVI LE TUE GRADEVOLI PAROLE DI FIORI 
                          ANCHE SE  NESSUNO  RIUSCIVO A VEDERE 
                        SEMPRE HO CREDUTO DI ESSERE L'UNICO TUO DESIDERIO 
    PERCHE' UNICO E SOLO  CHE IO POTESSI SENTIRE 
                        ALLORA CAPII CHE DENTRO IL TUO CORPO DOVESSI LEGGERE L'ANIMA 
                          ANCHE SE  QUESTA  LONTANO DA TE MI PORTAVA 
                        IN VITA MI CHIESI SE DA DENTRO IL TUO CORPO SI POTESSE  FUGGIRE 
                          SENZA CAPIRE  CHE TUTTO  SI FOSSE GIA' CONSUMATO 
                        ORA  SO' COMPRENDERE  COSA IL CUORE MI SUGGERIVA DA TEMPO 
                          E SENZA VERGOGNA MI ACCINGO A CREARE IL NOSTRO LUOGO 
    
   SENZA RISPOSTA PRETESA  ATTENDO LA TUA OMBRA  
                          COME QUELLA DELL'ALBERO CHE ALL'ALBA DI OGNI NUOVO GIORNO 
                          MI VIENE VICINO                         
                           
                           
                         
                        LA MEMORIA CHE RESPIRO 
                         POSSEGGO QUELLO CHE RICORDO DI TE 
                        IL TUO PROFUMO SI ESPANDE ANCORA AL MIO INTERNO  
                          MA ALTRO NON E'  
                          CHE IL MIO PENSIERO  
                          CHE CORRE PAZZO E PIU' VELOCE DEL TEMPO 
                        LAMPI DI LUCE NEGLI OCCHI IN CUI ERO ABITUATO AD ENTRARE 
                          DURANTE I NOSTRI INFINITI GIOCHI D'AMORE 
     
   STANCHI DI VITA E  PROSSIMI ALLA GLORIA 
   SENZA  PAROLE MAGNIFICHE 
                          ED AZIONI  ELOQUENTI  
                          ORA CI SODDISFIAMO IN SILENZIO 
                          RESPIRANDO IL RICAMO DEI NOSTRI  STESSI ANTICHI PROFUMI 
                           
                           
                         
                        QUEI  COMUNI SENTIMENTI 
                        LIMITATI 
                          QUEI COMUNI SENTIMENTI  
                          DI CHI NON VUOLE CAPIRE CHE 
  IL VERO DELLA PROPRIA  ANIMA NON E' SOLTANTO UNO SPECCHIO 
                        IMPOSSIBILE A LUI 
   RACCONTARSI LE  DOLCI POESIE DEL PENSIERO 
                          CHE INVECE LIBERO VOLA SULLE TESTE DEI SUOI DECAPITATI 
                        FELICE INVECE E' CHI SOLO RIESCE A CREARE 
                          SENZA L'AUSILIO DI ALCUNO 
                          SENZA LA   FORZA DELLA RAGIONE PERDUTA 
                        FELICE E' CHI OSSERVA IL CIELO STELLATO 
                          E LIBERO DEI SUOI STESSI LEGAMI SI FONDE CON ESSO 
                          IMPAZZENDO DI GIOIA 
                          SENZA PIU' IL SENNO CHE LO TENEVA LONTANO 
                          DALL'ESSERE UNO DI TUTTO 
   E NON UNO DEL TUTTO 
                        FELICE E' CHI HA SMESSO DI RICONOSCERE 
                          IL SUO STESSO RESPIRO COME UNO DEI TANTI 
                          SENTENDO IL SUO ODORE PARTENDO DA DENTRO 
                          E DENTRO ANCORA FINO LE STESSE SUE VISCERE  
                          E POI FUORI LONTANO OLTRE LE STELLE 
                        E' BEATO COLUI IL QUALE TAGLIA I LEGAMI DELL'IPOCRITA RAGIONE 
                          E PAZZO CORRE VELOCE 
                          VERSO QUELLA LIBERTA' PER LA QUALE NON C'E'  ALTERNATIVA 
                          NUDO DI TUTTO 
                          LIBERO  
                          FINALMENTE LIBERO 
                          ANCHE DELLA STESSA SUA VITA!                         
                           
                           
                         
                        IL DIO INTERIORE 
                        OGNI TANTO CHIUDO GLI OCCHI  
                          PER VEDERCI PIU' CHIARO 
                          OPPURE TRATTENGO IL RESPIRO  
                          PER MEGLIO GUSTARE L'INCANTO DI UN NUOVO PROFUMO 
                        IERI MI SON RICORDATO LA MELA DELLA SCORSA  STAGIONE 
                          E MI SONO SFAMATO 
                        DOMANI IN SILENZIO PARLERO' ALLA MIA GENTE 
                          E SPIEGHERO' LORO CHE SENZA L'ANIMA 
                          NULLA PUO' 
                           
                           
                         
                        LE ALI 
                            FELICITA' DELL'ANIMA 
                        QUALE  FELICITA'  MI PRENDE DA DENTRO E MI DILATA LA MENTE 
                          FINO ALLA PALPABILITA' CONCRETA DELL'ANIMA MIA 
                          PIU' DEL VOLO SOPRA ME STESSO 
                          LUNGO LA   STESSA  MIA VITA 
                         IL FERMARMI A PREGARE  IL  DIO CHE E' DENTRO DI ME 
   MI DONA QUESTO  BENE INFINITO 
                          E COME GIOIOSA ONNIPOTENZA  
   MI RITROVO AD  OSSERVARMI CON GLI OCCHI DELLA  MENTE 
                          RINCORRENDO I PIU' RECONDITI, IMPOSSIBILI, DOLCISSIMI  DESIDERI 
                          CHE MAGICAMENTE  SI  MATERIALIZZANO DENTRO DI ME 
                          IN TUTTA LA   LORO FRAGRANTE E PROFUMATA BELLEZZA 
                          PROPRIO NELL'ATTIMO STESSO DEL LORO DIVENIRE PENSIERO 
                        E' COME UN EBRO CULLARSI  
                          IN CUI TUTT'ATTORNO E' LUCE E TIEPIDO CALORE 
                        OGNI QUALVOLTA MI FERMO A PREGARE IL DIO CHE E' DENTRO DI ME  
   ALZO LO SGUARDO  
                          PERCHE' UN SOLE SPLENDENTE MI CHIAMA 
                          SEMPRE 
                          ANCHE QUANDO IL CIELO ALL'ORIZZONTE 
                          SEMBRA ESSERE UN MURO SCURO   CARICO DI PIANTO                         
                          
                        
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