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"ARTE ED EROTISMO INDAGINE PSICANALITICA SULL’OPERA DI EGON SCHIELE" a cura di Pierfranco Luscrì



“Gli adulti
hanno
dimenticato
quanto erano
corrotti essi
stessi,
eccitati e
turbati
dall'impulso
sessuale
quando
erano ancora
bambini.
Io non ho
dimenticato
quanto
terribilmente
ne ho
sofferto. 
Io credo che
l’uomo
debba
soffrire per
la tortura
sessuale fin
tanto che è
capace di
sensazioni
sessuali”

Egon
Schiele


a. Introduzione

Quanta importanza Freud conferiva all’arte, per un effettiva comprensione delle teorie psicanalitiche, che male si adattavano nel quadro di quel puro scientismo ottocentesco, è possibile rendersene conto in numerosissime sue affermazioni. “L’inconscio”, scrive Feud, “lo si vede da i suoi effetti”. Il quadro quindi, nella prospettiva artistica, non è altro che l’effetto, la manifestazione tangibile e concreta di quel qualcosa “tra cielo e terra che il nostro sapere accademico neppure sospetta”. E’ sempre Freud ad affermare che “la natura benigna ha concesso all’artista di esprimere” proprio quei “moti segreti dell’animo”, quindi dell’inconscio. Ed è proprio l’inconscio, prima di ogni altra cosa, che deve essere preso in considerazione come pura verità assoluta, ancor prima di qualsiasi altro tipo di condizionamento successivo, sia esso storico, sociale o culturale. Se si considera quindi la creazione pittorica, o più generalmente quella artistica, come una tra le più efficaci possibilità terapeutiche che l’uomo ha a disposizione per poter rivivere inconsciamente quella perduta felicità prenatale che ogni individuo tenta di ristabilire dopo la nascita, ci consente di capire ad esempio un fenomeno molto interessante. La scarsissima (quasi nulla) presenza di donne nel panorama artistico di tutti i tempi, mi porta infatti ad affermare che a differenza dell’uomo, essa ha nella sua potenziale condizione di madre, una possibilità creativa di smisurata efficacia. Attraverso un vero e proprio transfert durante la gestazione del feto, la donna concretizza nel modo più completo quell’incessante desiderio di “ritorno” che invece il maschio è costretto a rivivere soltanto per mezzo della “creazione artistica”. Quest’ultima diventa quindi il tramite tra il conscio e l’inconscio e conseguenzialmente più che essere una comunicazione al di fuori della propria persona, diventa una imprescindibile potenzialità dialettica tra se stessi e il proprio essere. L’inconscio troppo spesso viene nascosto e recluso a tali profondità da essere addirittura totalmente negato. Un tale atteggiamento non fa altro che evidenziare una pericolosa incapacità di porsi senza ipocrisie, senza falsi pudori, di fronte alla pura verità. Il plesso solare, che in questo caso diventa una specie di passaggio obbligato, assume quasi la funzione di un vero e proprio cordone ombellicale: il tramite attraverso i quale avviene quell’interscambio vitale tra la persona ed il suo essere più profondo. L’artista quindi, in questa sua privilegiata condizione, non arriva mai a negare se stesso. Tutti gli stimoli che egli riceve attraverso il plesso solare (ben più ampio in questo caso rispetto la norma), non vengono razionalizzati, tradotti, quindi traditi dalla mente, ma vengono espressi nella loro incodizionata purezza, cioè in quella espressione primaria, assolutamente aliena ad ogni sorta di deviazione di “circostanza” tanto da venire a determinare il concetto di un’arte senza tempo, di un’arte unica ed assoluta, come molto chiaramente ha affermato lo stesso Sciele (1). L’opera d’arte diventa quindi “l’incarnazione del verbo”. Ed è proprio per suo tramite, per quella che si può essenzialmente considerare come “pura intuizione”, che è possibile arrivare ad  attigere a quelle fonti che non sono ancora state aperte alla scienza. Non dimentichiamoci poi con che tipo di metodologia, assolutamente rivoluzionaria, proprio in quegli stessi anni Einstein approdava alle sue teorie sulla relatività. In primis, quindi, una corretta metodologia di analisi critica di qualsiasi fenomeno artistico, sia esso antico o moderno, non può assolutamente prescindere da tutta questa serie di considerazioni, che oltre a dare una corretta ed inequivocabile visione del fenomeno stesso, si pone anche, nella sua specificità ontogenetica, come riferimento filogenetico assoluto. Per cui come già detto, per questa considerazione “primaria” del fenomeno artistico in genere, potremmo effettivamente parlare di un’arte al di sopra del tempo, al di sopra delle culture, al di sopra delle società, quindi di una vera e propria arte assoluta.


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b. Capitolo unico

Figura 1Freud, nell’affermare che il complesso di castrazione (angoscia relativa al pene per i ragazzi; invidia del pene per le ragazze) costituisce la parte più significativa individuabile nei disturbi a cui è esposto il narcisismo originario, mi fornisce un’importante chiave di interpretazione su quella che in un primo tempo potrebbe apparire semplicemente come un’ulteriore individuazione oggettiva nell’accezione erotica dell’opera di Egon Schile. Osservando le opere in cui l’artista descrive la nudità dei corpi femminili e maschili (questi ultimi quasi esclusivamente autoritratti) sono stato colpito dal constatare con quanta enfasi (oserei dire ai limiti di deformazioni di stampo espressionista) soffermasse la Figura 2sua attenzione sulle porzioni genitali femminili e invece con quanta indefinitezza dissolvesse quelle maschili. La descrizione dei pubi femminili infatti è esasperata da una parossisticacolorazione arancione che generalmente viene a puntualizzare anche altre parti del corpo come i capezzoli e le labbra (2) (Figure 1-2). La situazione per quanto riguarda la componente maschile, viene invece palesemente presentata in termini opposti. La schematizzazione del pene infatti, raggiunge una tale vaghezza, da non essere più distinguibile nelle sue varie componenti morfologiche. Nella maggior parte dei casi, anzi, è interessantissimo notare come le forme risultanti ci diano un’idea alquanto ambigua sulla determinazione sessuale dell’organo in Figura 3questione (Figure 3-4-5-6). Ed è proprio a tale proposito  che si crea la possibilità di una correlazione ancor più stretta con ciò che costituisce il narcisismo, nella più ampia prospettiva di una interpretazione psicanalitica. Difatti  una condizione di analoga indeterminabilità sessuale degli apparati genitali si ha realmente nella condizione intrauterina del feto nei primi quattro mesi di gestazione. Quindi se consideriamo che nell’utero si concretizzano le perfette condizioni che determinano il narcisismo ideale (annullamento di tutto quello che non sia propriamente se stesso), questa dichiarata tendenza al “ritorno nel grembo materno” ci spinge nel vivo di un vero e proprio caso di regressione thalassale di stampo narcisistico.  A questo punto non posso fare a meno di considerare quelle teorie che possiamo tranquillamente definire tra “… le più appassionanti e liberatorie del nostro secolo…” (3), che il più importante ed autorevole discepolo di Sigmund Freud, Sandor Ferenczi,  ha con tanta chiarezza espresso nel suo trattato sulla psicanalisi delle origini della vita sessuale :Figura 4 “Thalassa”. La lettura di questo testo sorprende per quanto riesca ad arrivare all’esenza. “…Esso è un tentativo di spingere il cammino della psicoanalisi verso un metodo di investigazione universale. La psicoanalisi diverrebbe così uno strumento complementare delle scienze, della natura, della biologia, della paleontologia, della medicina e persino, volendo spingere all’estremo le sue conseguenze, della chimica e della fisica…” “…La lettura di questo libro in un primo tempo ci sconcerta, poi a poco a poco, ci fa penetrare in un universo strano ed affascinante…” (4). Il problema, quasi banalmente, si avvicina a quella normale sintassi che tradizionalmente si conviene ad una trattazione artistica, quando si arriva ad affermare “…Noi usiamo il nostro corpo per la simbolizzazione, così come l’artista si serve dei suoi materiali per creare l’opera d’arte. Figura 5Ma in entrambi i casi si tratta di realizzare i desideri rimossi e ciò è possibile poiché il nostro corpo improvvisamente funziona come linguaggio…”(5). Come il nostro corpo e la nostra psiche non sono altro che l’esempio vivente di una rimozione ontogenetica di quella che potremmo definire in senso più vasto, e cioè filogeneticamente, come un’eredità pervenutaci addirittura dagli albori della materia organica, anche un’opera d’arte, un quadro, possono essere presi in considerazione come ulteriori mezzi di rimozione. La rimozione è essenzialmente istintiva e nella prospettiva bioanalitica teorizzata dal Ferenczi, si esprime come una componente di importanza vitale. Essa può essere anche artificiosamente provocata per il ristabilimento entro una certa normalità di determinati squilibri psicosomatici (psicoterapia). Il corpo è quindi un linguaggio, tanto quanto lo è il modo con cui se ne fa uso (comportamento). Una sorta di banca dati dalla quale abbiamo la possibilità di apprendere una serie infinita di informazioni riguardanti non solo l’aspetto ontogenetico del singolo, ma persino quello filogenetico della specie, per arrivare poi, volendo ancora una volta spingere all’estremo le conseguenze, ad una vera e propria filogenetica della materia (dalle sue oriFigura 6gini inorganiche). Ad esempio, “…partendo dalle molecole di proteine animali si potrebbe ricostruire tutto il passato vegetale ed animale (in senso assoluto)…” (6). In ogni caso però, nonostante l’estremo fascino di questa prospettiva ad ampio raggio, sarà la “tendenza alla regressione” che agisce nella vita psichica, come in quella organica, che ci permette di entrare più propriamente nell’opera di Egon Schile. Inanzi tutto bisognerà tenere sempre presente un dato molto importante per ciò che seguirà: “ …l’uomo sin dalla sua nascita cerca di ristabilire la situazione in cui era nel grembo materno e che egli tende alla realizzazione di questo desiderio in maniera costante e magica attraverso allucinazioni negative e positive. Seguendo questa concezione, l’uomo raggiungerebbe il completo sviluppo del suo senso della realtà rinunciando definitivamente a questi mezzi regressivi per trovare un compenso nella realtà. Questa evoluzione però, non si produce che per una parte della nostra personalità; nel sonno e nei sogni, nella nostra vita sessuale e nelle nostre fantasticherie, ci sforziamo fino all’esaurimento delle nostre forze di realizzare questo arcaico desiderio…” (7) Purtroppo per noi però questo rimarrà per sempre un pio desiderio, in Figura 7quanto un ritorno effettivo sarà naturalmente irrealizzabile. Ecco allora che entrano in campo quelle possibilità che la psiche automaticamente si crea al fine di poter almeno rivivere ritualmente, in senso allucinatorio, in certi limitati momenti, quella paradisiaca condizione intrauterina così traumaticamente abbandonata con la nascita. Il coito e il sonno sono le due principali modalità con cui l’individuo maschio concretizza questa tendenza regressiva. Per quanto concerne il sonno è quasi superfluo citare quegli elementi che ci portano ad una stretta relazione (identificazione) del dormiente con il feto. Dalla scontata posizione ad uovo, atutte quelle che sono le temporanee modificazioni bioritmiche che l’organismo, in un vero e proprio stato regressivo, opera in questa condizione di rilassamento totale. A tale proposito, l’identificazione che la donna ha nel feto durante la maternità, ed ancora l’identificazione del sonno (morte) con la condizione intrauterina, si possono facilmente ritrovare in un quadro di Schile del 1910, Madre morta (Figura 7). E’ interessantissimo notare a tale proposito come il pittore viennese tenda spesso, nella raffigurazione di tale tema (ricorrente anche in altre opere come La nascita del genio del 1911 oppure Sacra famiglia del 1913, vedi figure 8-9) Figura 8ad una visione simultanea sia della madre che del feto, il quale viene inglobato in un circostanziato ed irregolare spazio ovoidale (messo particolarmente in evidenza dal netto contrasto cromatico della massa scura del manto materno. Manto del resto, che si pone simultaneamente sia come utero-contenitore interno- sia come avvolgenti e morbide fasce-contenitore esterno-) Il coito invece è molto meno conosciuto come rito allucinatorio di un momentaneo e parziale ritorno nel grembo materno. La grande “immoralità” del complesso edipico, che trova inveece libero sfogo nei sogni, è uno dei tanti aspetti dell’inconscio che la morale, aquisita dall’individuo dopo la nascita attraverso l’imprescindibile stratificazione culturale e sociale, tenta sempre e comunque di occultare, servendosi molto spesso di una certa falsa metodologia scientifica. “…Ogni scienza attacca con l’indagine i problemi della natura secondo linee facilitanti che permettono un più facile inizio, ma che la limitano, perché la natura dimostra spesso di essere più complessa di ciò che appare ad un primo approccio…”(8). Prendendo in considerazione soltanto il processo di regressione attraverso l’atto sessuale, dal punto di vista del maschio risulteranno interessantissime alcune costatazioni in merito. E’ infatti proprio attraverso il processo di autoidentificazione nel pene prima e nel liquido Figura 9seminale poi, che l’individuo rivive, ripercorrendolo in senso inverso, il passaggio coattamente subito da un ambiente liquido ad uno aereiforme (da un’assimiliazione branchiale dell’ossigeno ad unapolmonare). Esso può raggiungere in certi casi delle situzioni limite in cui vengono espressi veri e propri desideri di castrazione. Una così drastica situazione merita però una ulteriore puntualizzazione. “…In alcuni animali gli zoologi hanno notato un modo di reazione singolare, l’autonomia. Questa consiste essenialmente nel fatto che l’animale stacca dal suo corpo, cioè lascia cadere nel vero senso della parola, per mezzo di particolarimovimenti muscolari quei suoi organi che vengono a trovarsi in uno stato di eccitamento troppo forte e che sono in qualche maniera fonte di dolore (precursore biologico della rimozione) …”(9). Quindi la somma delle quantità di eccitamento di tutte le parti del corpo che viene ad essere accumulata nell’apparato genitale, si scarica in una tendenza non perfettamente riuscita a staccare l’organo genitale dal corpo. L’organismo dovrà accontentarsi così soltanto dell’evacuazione del liquido seminale. (Figura 4). Da questo breve exursus inerente a quelli che sono soltanto alcuni tra i più importanti aspetti psicoanalitici della vita sessuale, emergono dei dati a noi molto significativi. L’atto sessuale manifesta essenzialmente un processo liberatorio, che ha nell’orgasmo il suo acme. E’ l’esigenza di scaricare, come si è già detto, uno stato di “tensione”, una forte angoscia che si accumula periodicamente (10). E’ l’angoscia della grande rinuncia che ogni individuo è costretto ad accettare al momento di quella nascita che paradossalmnte si trasforma in una rinuncia alla vita.“…Le prime manifestazioni di esistenza del neonato mostrano anche che lo shock traumatico provato al momento della nascita e in particolare la compressione subita nel canale ostetrico, non provocano soltanto angoscia, ma anche collera; lo stesso si ripeteal momento del coito…”(11). Abbiamo quindi un’interessantissima serie di coinvolgimenti emotivi che l’individuo vive durante l’accoppiamento, rimuovendo ancora per suo tramite un passato che mai più potrà dimenticare. Si parla perciò di tensione, angoscia, collera, vita, morte.E’ incredibile constatare con quanta precisione si ritrovino questi stessi elementi nell’opera di Egon Schiele. Quanta tensione infatti scaturisce da quella lFigura 10inea tanto tagliente, guizzante, profondamente incisiva, con la quale l’artista esaspera, comprimendone al suo interno attraverso una analitica scomposizione a tasselli, una vibrante e frenetica materia pittorica. Ed ancora quanta tensione emotiva, quasi imbarazzante per il fruitore viene emanata dagli sguardi penetranti, dalle pose plastiche dei suoi conturbanti modelli. In questo senso è impresionante notare come i due momenti fondamentali in cui si divide l’atto sessuale, e cioè il contenimento forzato dell’accumulo di energie prima e della scarica violenta, quasi esplosiva, dell’orgasmo poi, siano riscontrabili distintamente in compressione ed espasione di questa nostra materia pittorica. Il colore sisovrappone, si accumula tettonicamente in stesure che tendono quasi una ad annullare l’altra. Esso si comprime a tal punto da raggrumarsi in vere e proprie incorostazioni di una densità Figura 11emotiva di alto valore lirico. (Figura 10). A volte invece il colore esplode in delirante agitazione. Non è più frutto di lente e travagliate sovrapposizioni, ma di rapide ed incisive stesure, in cui il frenetico lavorio operato dal pennello viene ad esaltare un convulso ed incessante dinamismo (Figura 11-12). La sensazione d’angoscia che si avverte in numerosi quadri di Schiele, viene ad assumere valori emozionali differenti, grazie alle svariate caratterizzzioni che le diverse modalità pittoriche conferiscono alle opere in questione. In ogni caso però è necessario precisare il fatto che in tutta l’opera è constantemente presente un certo stato di angoscia latente, che andrebbe considerata in questo caso in un otticaFigura 12 essenzialmente unitaria. L’angosciosa malinconia espressa dall’oggettività dalle pose di alcuni modelli, dagli sguardi assenti, quasi fissi nel vuoto di alcuni spledidi ritratti (Figura 13), trova la sua vera capacità d’espressione in quella delicatissima soluzione pittorica della superfice, resa in armonica simbiosi con la linea di contorno delle figure. Qust’ultima, pur abbandonando la sua tradizionale e fredda regolarità geometrica, rimane estremamente equilibrata, Figura 13rigorosamente costruttiva. Il colore, componendosi di quelle leggerissime sovrapposizioni che Scilele riesce con grande abilità a modulre sulla superfice del quadro, è come se chiudesse in sé, immobilizzandole, quelle pulsioni interiori che caratterizzano ogni tipo di dinamismo emotivo. Abbiamo invece gli elementi per poter parlare di un diverso coinvolgimento emozionale quando la linea comincia a spezzarsi, a sfilacciarsi, quasi a vibrare in un vero e proprio atteggiamento pittorico di emancipazione rispetto alla pura stesura cromatica (diventando essa stessa colore). Ed ancora quando la materia pittorica abbandona quella tranquillità sia strutturale che cromatica,per arrivare ad agitate  e frammentarie stesure,pur rimanendo ancoradichiaratamente stratificata (Figura 14). Il colore si avvia cosìverso un certo dinamismo, anche se ancora forzatamente compresso entro una prototensione d’angoscia, per poi Figura 14esplodere come abbiamo già vistnell’espressione di una materia pittorica in stto di frenetica agitazione.Il suo perdurare così si trasformerà in spasmodica ricerca di un qualcosa di vitale importanza. E’ la senzazione che il feto prova al momento della nascita. Per alcuni secondi non può più respirare; è confusa e convulsa l’uscita verso la vita. Così l’angoscia si mescola alla rabbia di dover con tanta violenza drasticamente abbandonare il caldo ed accogliente grembo materno. Ed è con la stessa collera che Schiele si raffigura in dolo rosissime visioni di allucinanti castrazioni (Figure 3-4-6). Anche l’interazione tra vita e morte alla luce delle teorie ferencziane, acquista ulteriori ed importanti chiarifiche, quanto mai  valide rispetto alla normale considerazione che la critica ufficiale conferisce al problema.”…Tutto nella vita è morte, annota nel suo diario Schiele. Ma questo non significa una dichiarazione di pessimismo assoluto, semmai che ogni condizione è attraversata da forze complementari e diversificanti che minano ogni certezza ed ogni percezione. Allora il sentimentoo della vita non significa soltanto vitalità, ma anche il suo complemento della morte che, per questo, non è proprio il suo contrario…” (12). Bisognerebbe quindi rivedere e rettificare quel concetto di “morte” che nell’opera di Schiele non può più essere considerato nella sua normale accezione. Quando certi osservatori, riferendosi alla materia pittorica dell’artista viennese, parlano di putrefazione, di disfacimento, volendo così indicare un processo di smembramento, di decadimento verso la morte, forse non sono a conoscenza dell’enorme quantitativo di vitalità organica contenuta nella materia in decomposizione. Ed è proprio in essa e grazie ad essa che il ciclo biologico della rigenerazione può avere il suo corso. In ogni caso, anche quando non si ha rigenerazione, ma il processo si ferma alla semplice scomposizione della materia nei suoi elementi fondamentali (inorganici), possiamo notare una certa vitalità.”…In effetti i fisici dicono che nella materia apparentemente morta, può scorgersi un’interessantissima agitazione; dunque anche se di carattere meno labile, si tratta anche qui di vita. Della vera morte, del riposo assoluto, i fisici ne parlano al massimo solo in teoria, quando affermano che ogni energia esistente, stando al secondo principio fondamentale della termodinamica, è condannata alla morte per dissipazione…” (13) (entropia assoluta). Del resto è Schiele stesso ad affermare “…fin tanto che esisteranno gli elementi, neppure la morte assoluta sarà possibile…” “…Dovremmo dunque definitivamente abbandonare la questione concernente l’inizio e la fne della vita e dovremmo immaginare tutto l’universo organico e inorganico come un incessante viavai tra le tendenze di vita e di morte, in cui ne la vita ne la morte arriverebbero a regnare da sole…” (13).  Tornando più propriamente al nostro discorso, dovremmo ricordare anche il fatto che la stessa scienza naturale afferma che non si ha vita senza partecipazione delle tendenze alla morte. Non a caso Freud ha messo in evidenza l’azione degli istinti di morte in tutto ciò che è vivente. “…Anche nella morte, come nel sonno e nel coito, si ritrovano dei caratteri simili alla regressione intrauterina…” “…Tutto avviene come se, anche nei sintomi dell’agonia, si celassero dei caratteri regressivi che tenderebbero a modellare la morte sull’esempio della nascita…”(14). L’identificazione della nascita nella morte e viceversa (che come abbiamo già detto avviene per la prima volta nell’individuo al momento del parto) raggiunge una vera e propria identità simbolica, in quelli che potremmo considerare filogeneticamente come Miti, Misteri, Religioni, Sogni. Un esempio su tutti: Morte e Resurrezione di Gesù Cristo. Il compito del figlio di Dio era proprio quello di far rinascere l’uomo dal peccato originale (lavare tutti i peccati del mondo) attraverso la sua morte. Una morte finalizzata alla resurrezione, quindi alla vita (eterna). “…Amo l’autunno…” scrive Schiele “…non soltanto come una stagione dell’anno, ma come una condizione dell’uomo e delle cose…”. Anche in questa dichiarazione possiamo ritrovare la complementarietà tra nascita e morte. E’ nell’autunno infatti che si avverte il cammino verso il freddo silenzio dell’inverno, in cui tutto appare morto ma che poi rinasce nella solare vitalità primaverile.
Figura 15Nella pittura di Schiele, un elemento riconducibile attraverso un’analisi interpretativa ad implicazioni storico-culturali, potrebbe essere, come del resto già in Klimt ed in tutto il Modernismo, il protagonismo della figura umana in un assenza di riferimenti spaziali/prospettici. L’analisi però deve essere fatta in considerazione d iquella componente esibizionistica, intesa come modo “istintivamente primo” di preservare il proprio egocentrismo/narcisismo (una delle prime necessità infantili) da una situazione storicamente e culturalmente precaria. Ciò è confermato ancor più palesemente anche quando i valori si invertono. Infatti nel momento in cui Schiele dipinge la città, il paese, il piccolo agglomerato di case, non si pone mai all’interno sdi essi e ne descrive soltanto la totalità, in una isione quasi assonometrica (Figure 15-16), denunciando un’effettiva incomprensione con la società urbana. Si mantiene però nei paraggi in quanto un definitivo allontanamento risulterebbe fatale per la pura e semplice sopravvivenza. In questo senso la puntualizzazione di Achille Bonito Oliva risulta molto efficace Figura 16“…Nell’ambito della storia dell’arte occidentale, il rapporto armnico dell’io con il mondo era rappresentato dalla forma simbolica della prospettiva, in cui la figura umana rappresentava, seppur in maniera sempre più problematica…” (Rinascimento-Barocco-Romanticismo) ”…una centralità gratificante…” (15). Tali considerazioni ci spingono quindi ad ipotizzare che l’isolamento della figura umana, in ambedue casi, possa essere interpretata come l’istintivo rifiuto all’integrazione sociale. Questa realtà (natura-società) dunque non è più in grado di assolvere in sé la secolare funzione di “contenitore protettivo”. Come possiamo però notare, permane anche in questo tipo di analisi, parlando di componente esibizionistica, intesa come modo istintivamente primo di preservare il proprio egocentrismo/narcisismo, il nostro comune denominatore che è l’interpretazione psicanalitica e che conferma anche in questo caso il suo inprescindibile contributo. Il problema perciò, se approfondito secondo questa prospettiva, ci porta ad ulteriori considerazioni. “…L’erotismo delle figure è costreto a ripegare su se stesso, la mancanza di sfondo impedisce di trovare dei riferimenti alla carica erotica che accartoccia e piega la figura del modello…” (16) in pose che rasentano un’artificiosità barocca (da ricordare a proposito le due sculture del Bernini : Figura 17“…L’estasi di S.Teresa e la Beata Ludovica Albertoni, le più conturbanti tra quante ne ha lasciate il seicento…) (17). “…la cancellazione del fondo esaspera naturalmente la presenza antropomorfica, annulla ogni possibilità di relazione col mondo ed evidenzia l’autoerotismo delle figure…” (18). Così sulla tela che diventa uno specchio per Narciso, Schieleesprime quel processo interiore, quell’erotismo onanistico, che riesce ad intrattenere relazioni, ad avere gratificazioni, soltanto con se stesso. Dunque sotto questa luce risulterà straordinariamente chiara una costatazione: Schiele nei suoi quadri erotici rappresenta sempre un unico protagonista. Infatti anche quando le presenze antropomorfiche sono due, o addirittura tre (Figura 17) il quadro diventa oltre alla Figura 18rappresentazione del singolo soggetto, anche la rappresentazione della sua immagine speculare, il suo doppio (Figure 18-19-20). Ciò è riscontrabile nel constatare una certa somiglianza tra le figure dello stesso quadro. In questo caso i caratteri delle due immagini assumono le similitudini di un vero e proprio sdoppiamento, mentre in altri si verific una identificazione oggettiva-immaginativa laddove noi vediamo semplici fantocci senza vita, che invece vengono investiti e trumentalizzati eroticamente dal soggetto (Figure 21-22-23).
Figura 19C’è chi ha definito la pittura di Schiele come un “teatro delle spoglie”, la rappresentazione di ciò che resta dell’eros, l’immagine come resto dell’erotismo, disarticolato, mutilato, putrefatto. Ma putrefazione, mutilazione, disarticolazione esprimono tutt’altro che il termine di un ciclo. Non è la “fine” ma il “durante”. E’ impressionante costatare a tale proposito con quanta chiarezza traspaia dai suoi disegni una grande Figura 20rapidità di esecuzione che gli permetteva di cogliere istantaneamente il divenire di quel rapporto interttivo che improvvisamente si creava tra lui ed il modello(19). Non dobbiamo dimenticare a tale proposito che Schiele è sempre stato considerato come uno tra ipiù geniali disegnatori del nostro secolo. Inoltre chi meglio della vitalità dei suoi colori, ottenuti per un complesso e frenetico lavoro di stratificazioni riesce a far rivivere allo spettatore quella polluzione interiore esplosa entro il forte segno di contorno dei suoi soggetti? Si è portati a percepire, anche quando le figure si danno in stato di rilassamento, quel Figura 21perdurare dell’orgasmo in fremiti e quasi impercettibili sctti nervosi, attraverso uno spasmodico lavorio che la materia pittorica opera sulle superfici crnose, investendo ed influenzando “espresionisticamente” tutto lo spazio circostante. Quindi non più materia in putrefazione, ma materia in frenetico pulsare. Non più congelamento dell’atto erotico ma dinamismo del desiderio, che rivivrà continuamente attraverso un altro rapporto di grande amore: quello con lo spettatore. Anch’egli verrà trascinato nel vortice di un erotismo onanistico. Infatti l’energia che in Schiele viaggia da lui all’identificazione di se stesso nel modello (constatare a tale proposito l’alto numero di autoritratti), si libererà da questo circuito chiuso ed Figura 22andrà ad investire il fruitore, il quale per reazione sarà portato inconsciamente a strumentalizzare quella che in un primo momento appare come semplice immagine. Si creerà così un rapporto satellite in cui lo spettatore rivivrà, ripercorrendolo, lo stesso processo di stimolazione narcisistica che il pittore in primis aveva ricercato ed avuto nel modello. L’atmosfera entro la quale le figure di Schiele consumano quel loro gioioso dramma di orgasmico dolore (che raggiunge i vertici più alti proprio negli autoritratti, in quanto in essi non c’è autoidentificazione immaginativa, ma identità oggettiva) è talmente penetrante e sconvolgente, da ipnotizzare letteralmente lo spettatore. Egli verrà spinto ad investire della propria energia la cruda materia pittorica, lacarnosa linea del disegno, tanto da “alitarne” la vita. Perciò in quel breve ed infinito istante non sarà soltanto mero spettatore,ma donerà energia, grazie alla quale l’opera d’arte continuerà a vivere. Sarà quindi prorio il fruitore che, investendo il quadro della propriaidentificazione, diventerà temporaneamente artista, vivendocosì una sorta Figura 23 di transfert creativo.La possibile specularità introspettiva che le opere di Schiele offrono a chi ne subisce il fascinoipnotico, hanno da sempre scandalizzato quel perbenismo, quel moralismo ipocrita di chi, come ponendosi di fronte ad uno specchio, ha avuto paura di riconoscere se stesso.

Egon Schiele è stato un uomo che ha saputo senza vergogna porsi in stretto contatto e in franca relazione con il proprio essere. La sua opera,  non ponendo alcun limite al proprio linguaggio, si è saputa e si saprà sempre imporsi al di fuori  e al di sopra del suo tempo solo ed esclusivamente come “…Arte e basta!...” (1).


Da  “ Il mondo di ieri”  di Stefan Zweig

“… Non ci volle molto perché noi scoprissimo che tutte le autorità alle quali avevamo prestato fiducia, la scuola, la famiglia, la morale pubblica, nel campo sessuale si comportavano con strana insincerità, non solo, ma in esso da noi esigevano segretezza ed ipocrisia…
… Quell’epoca sfuggiva al problema della sessualità con paura, per un senso di incertezza interiore…
… In quest’illusione di temperare con l’ignoranza, s’accordano tutte le istanze, giungendo ad un boicottaggio comune per mezzo del più ermetico silenzio. La scuola e l’assistenza ecclesiastica, il salotto e la legge, il giornale e il libro, la moda e il costume, persino la scienza…
…Noi dopo Freud sappiano come chi cerchi di respingere dalla propria coscienza impulsi naturali, non li annulla, ma solamente li sposta pericolosamente nel subcosciente…
… Anche gli psichiatri, benchè se ne rendessero conto in molti casi sull’etologie di molte forme isteriche, non osavano ammettere i dati di fatto. Si legga in Freud come persino il suo venerato mestro Charcot gli confessasse in privato di conoscere perfettamente la vera causa, ma di non averla mai rivelata in pubblico…
…Se la sessualità non poteva essere abolita nel mondo, bisognava che almeno non fosse visibile in quello dei buoni costumi…
… Quanto più una donna doveva apparire signora, tanto meno se ne dovevano riconoscere le forme naturali…
… Questa saggia morale dimenticava però totalmente che, se si chiude ala porta al diavolo, questi rientra per la finestra o per un’altra porticina. Quel che colpisce il nostro sguardo spregiudicato d’oggi in questi abiti, che celavano disperatamente ogni traccia di pelle nuda e di chiare forme, non è la loro moralità, ma al contrario che quella moda metteva in luce con aperta provocazione l polarità dei due sessi…(21)

… Come la metropoli, sotto le strade ben spazzate con le belle vetrine e le passeggiate eleganti nascondono la canalizzazione dove confluisce la lordura delle cloache così la vita sessuale della gioventù avrebbe dovuto svolgersi invisibile sotto la superfice morale della società…”


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c. Note

  1. Die Aktion” 16 aprile 1914, “…non esiste un’arte moderna. L’arte è una sola, perenne. L’arte      rimane sempre la stessa: arte e basta”      Egon Schiele
  2. E’ interessantissimo citare a proposito, soprattutto alla luce delle consiiderazioni sulla regressione thalassale che faremo più tardi, alcune righe tratte dal diario scritto da Schiele nell’anno della sua detenzione : “…19 aprile 1912. In cella ho dipinto il mio giaciglio. Un arancione brillante al centro delle lenzuola grigio sudice, che mi è stato portato da V., unica luce che splenda nella mia cella. La piccola chiazza di colore mi ha fatto un bene indicibile…”.
  3. “Thalassa” prefazione, pag.7
  4. vedi nota 3
  5. “Thalassa” prefazione, pag.11
  6. “Thalassa” pag.105
  7. “Thalassa” pag.39
  8. “La comunicazione animale”, introduzione
  9. Non a caso Schiele scriveva “…io credo che l’uomo debba soffrire per la tortura sessuale fintanto che è capace di senzazioni sessuali…” dal diario del carcere, 1912
  10. “…sappiamo d’altronde da Freud che l’angoscia implica sempre una ripetizione della penosa sensazione provata nel corso del trauma della nascita…” “…la stretta parentela tra angoscia e libido è una delle tesi di base di Freud. Le prime comunicazioni psicoanalitiche di Freud mettono già in evidenza che i sintomi della nevrosi di angoscia e le emozioni del coito sono della stessa natura…”   Da “Thalassa” pag.51e pag. 52
  11. “Thalassa” pag 53
  12. “Egon Schiele”, di Serge Sabrsky, pag.26
  13. “Thalassa” pagg. 112-113
  14. “Thalassa” pag. 114
  15. “Egon Schiele” pag. 27
  16. vedi nota 15
  17. “Storia dell’Arte Italiana” Argan, 3° volume
  18. “Egon Schiele” pag.29
  19. “…un polluzione del mio amore. La ragazza venne, ne riconobbi il volto, l’inconscio, le mani da lavoratrice. Fui costretto a raffigurarla perché si mostrava così e perché mi era così vicina…” Egon Schiele
  20. Schiele, dal diario dal carcere, aprile 1912
  21. Vedere a proposito, il quadro di Tiziano Vecellio “L’amore sacro e l’amore profano”

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d. Descrizione figure

  1. Nudo sdraiato con calze nere, 1911 glielo dato
  2. Nudo di ragazza seduta con calze nere, 1910
  3. Nudo maschile seduto, 1910
  4. Nudo virile (autoritratto) 1910
  5. Nudo virile accovacciato (autoritratto), 1917
  6. Coppia autoritratti, 1912
  7. Madre morta (1°), 1910
  8. La nascita del genio (madre morta 2°) opera distrutta, 1911
  9. La sacra famiglia, 1913
  10. Processione, 1911
  11. Prato, case e chiesa di Modling, 1912
  12. Albero spoglio dietro uno steccato, 1912
  13. Ritratto del pittore Karl Zakovsek, 1910
  14. Doppio ritratto (Heinrich Benesch e suo figlio Otto), 1913
  15. La città di Stein, 1913
  16. Case e panni stesi colorati, 1914
  17. Tre donne in piedi, 1918
  18. Due donne accovacciate (opera incompiuta), 1918
  19. Due uomini accovacciati (opera incompiuta), 1918
  20. Doppio autoritratto (colui che vede se stesso), 1910
  21. Coppia seduta, 1915
  22. Donne abbracciate, 1915
  23. Donne recline, 1915


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e. Bibliografia

  • IL MONDO DI IERI     Stefan Zweig, Mondadori

  • STORIA DEL MOVIMENTO PSICANALITICO. INTRODUZIONE AL NARCISISMO    Sigmund Freud, Neuton Compton

  • THALASSA, PSICOANALISI DELLE ORIGINI DELLA VITA SESSUALE    Sandor Fernczi, Astrolabio

  • LE AVANGUARDIE ARTISTICHE DEL NOVECENTO     Mario De Micheli, Feltrinelli

  • STORIA DELL’ARTE ITALIANA    G.C.Argan, Sansoni

  • L’ARTE MODERNA vol 3°(secessionismo, espressionismo, faovismo)    Fratelli Fabbri

  • LE ARTI A VIENNA, LA BIENNALE, EGON SCHIELE    Roudolf Leopold, Mazzotta

  • EGON SCHIELE    Serge Sabarsky, Mazzotta

  • EGON SCHIELE    Luigi Carlucci, Galleria Galate Torino

  • EGON SCHIELE, GOTICO LINEARE  E MODERNO    Dino Pasquali, arterama, 1971

  • L’OPERA DI SCHIELE    Gianfranco Malafarina, classici dell’arte Rizzoli

  • SCHIELE E IL VERDE    Giovanni Mariotti, Franco Maria Ricci, settembre 1982

  • FRA KLIMT E SCHIELE    Haerdtl Carmela, Domus 1968

  • PITTURA VISIONARIA E METAFISICA. L’ARTE NELLA SOCIETA’    Anna Cavallaro, Fratelli Fabbri

  • LA COMUNICAZIONE ANIMALE    Robert A.Hinde, Universale Laterz


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f. " Io e Schiele" di Pierfranco Luscrì (ipotesi per un diaro e poesie)

Stanotte deve aver piovuto. La prima luce dell’alba entra. La finestra che mi porta la luce del sole, lassù, in alto nel muro, è una specie di ferita malsuturata da sbarre di ferro. E’ come uno squarcio che sbocca ancora sangue, sangue fresco ogni giorno Ogni giorno, nuovo. Proprio come un miracolo. Il miracolo di ricordarmi che fuori c’è ancora vita, che fuori c’è verità. Una verità che non vuole essere vissuta nascosta tra le mura domestiche della propria alcova, consumata furtivamente tra le pareti della propria ipocrita e falsa morale sociale. Essa ha bisogno di librarsi nel cielo, nel vento, di scorrere fluida nelle fresche acque di fiume, di rotolarsi gioiosa sulla nuda e umida terra, senza quella paura di chi crede di rimanerne sporcato. Una verità schietta, come l’albero temporaneamente spoglio che staglia i suoi rami nel terso cielo d’autunno, mostrando senza vergogna questa sua “altra “ realtà. Io sono qui, rinchiuso tra queste fradice mura, ammuffito come la grigia coperta con la quale mi avvolgo. Rannicchiato fitto fitto, lotto contro la morte. Forse lotto solo contro me stesso. Contro quella parte di me che vorrebbe cedere. Quella parte di me che sento sempre più stanca e priva di risorse residue. Mi hanno tolto la libertà perché ho sempre amato la luce del sole. “…le tue porcherie, se vuoi farle, ora falle lì dentro!…). Pretendono che tutti si comportino nella stessa maniera. No, io non sono come loro! Non voglio nascondermi quando faccio l’amore, non voglio occultare la mia franca pittura. Ne morirei soffocato! Essi sono convinti che quanto più si celano le cose naturali, tanto più si moderano le forze anarchiche. Quanta ipocrisia! Sono riusciti a far diventare il sesso una cosa sudicia di cui vergognarsi. Una cosa da vivere nel modo più squallido dietro quel loro falso, falsissimo perbenismo borghese! Diminuisce la libertà di esprimere il proprio corpo ed aumentano a vista d’occhio i bordelli. La prostituzione dilaga nelle strade di Vienna. Una vera e propria folla di donne venali, di giorno denigrata e gettata come frutta marcita, di notte raccolta ed amata furtivamente al sicuro da occhi indiscreti. Ed è proprio la notte ad essere testimone di questo amore comprato sull’orlo di una piazza da quello stesso mio carnefice. La morale non nega, nasconde! Questa morale non vieta di fare l’amore con una puttana invece che con la propria consorte. Questa morale esige solo il silenzio, l’oscurità. Ciò che è scandaloso di giorno è lecito di notte. Che gioventù potrà mai venir su se un padre sporcaccione di sera picchia e rimprovera di giorno la figlia perché ha rivolto con sguardo peccaminoso un saluto ad un uomo? Sembrerebbe che il sesso non debba essere riconosciuto a nessun costo pubblicamente, tantomeno in quelli che dovrebbero essere gli schietti e sinceri rapporti familiari. Di questo delitto ne sono responsabili, ancor più gravemente, tutte le istituzioni. Persino la scienza si ostina ancora a marciare diritta per la sua strada, con ampi paraocchi ai lati. E’ poco degna per essa trattare simili argomenti scabrosi. Io non sono un ipocrita, sia di giorno che di notte sono sempre la stessa persona. E’ per questa ragione che ora mi trovo prigioniero! Io non sono una persona immorale e malvagia. Non ho commesso stupri, non ho rubato, assassinato, appiccato incendi, né ho offeso in altra maniera la sensibile società umana, se non con la mia sola esistenza. Dicono che le mie opere d’arte sono oscene. Nessuna opera d’arte erotica può considerarsi oscena se è artisticamente significativa. Può diventare oscena soltanto attraverso il suo proprietario, attraverso chi la possiede per tramite dei suoi stessi occhi, della sua stessa sua mente.. L’opera d’arte è infatti anche uno specchio che riflette quello che si cela dietro le apparenze. Chi vede nei miei quadri solo sporca immoralità, non fa altro che vedere se stesso. Ma perché bisogna negare il prorio essere? Perché bisogna negare contemporaneamente il proprio passato ed il proprio presente? Perché bisogna negare se stesi? Io non posso asolutamente allontanre da me ed ignorare quello che ho sofferto, eccitato e turbato, da quegli impulsi sessuali che ogni individuo, sin dalla nascita, è costretto a subire. Incomincia a far freddo. Rannicchio le gambe sotto questa coperta, ma i mattoni del pavimento sono umidi e freddi. Non posso neanche poggiare la schiena. Non ho più fame. Del resto questa maleodorante brodaglia non riuscirebbe a corrompere neanche un cane randagio. Quanto vale la libertà! Con quanto gusto, una volta libero, apprezzerò anche una semplice scorza di pane…Voglio andar via di qui, voglio fuggire! Non faccio altro che osservare le muffe sul muro, le infiltrazioni d’acqua che a chiazze vivacizzano con tenui colori questa tomba murata, prematuramente assegnatami da una falsa giustizia sociale. “…polvere, ragnatele, scracchi, tracce di sudore ed anche lagrime hanno chiazzato l’intonaco scrostato di questo luogo. Le macchie sono più grandi dove il tavolaccio tocca il muro e la mano di calce è stata grattata. I mattoni come lucidati, paiono imbrattati di sangue, ben levigati e con uno scuro luccichio untuoso. Adesso so cos’è una segreta - Questa ha l’aspetto di una segreta sotterranea: la grossa serratura di sicurezza che non è possibile rompere con una spallata o con un calcio, il buco della serratura coperto, il pancaccio di assi grezze malamente commesse, la coperta grossolana tutta bitorzoli, che puzza stranamente di acido fenico, o di lisolo, e di sudore umano e di muffa e di lana grezza - chi ha osservato tutto questo ha osservato un’antica segreta, una stanza degli orrori delle antiche fortezze d’un antico palazzo di città, dove i prigionieri venivano buttati a marcire. Solo il pulsante del campanello elettrico in capo al letto è fuori posto, è dei nostri giorni, è moderno. E così so di non star sognando, di non avere visioni. No, non sogno, vivo, faccio un’esperienza, a meno che tutta la vita non sia altro che un sogno popolato da incubi…” (20). In questa squallida, tetra, quasi perenne penombra, tutto sembra essere grigio, non solo il mio animo. Io ho bisogno di colore e senza di esso mi sembra di vivere un vero incubo! Uno di quelli in cui ti viene da urlare ma non ci riesci perché è come se non avessi più le corde vocali. Uno di quegli incubi in cui vorresti scappare, ma una forza misteriosa ti appesantisce le gambe. Il colore è vita ed io qui dentro sto morendo. Mi avvicino al muro che ho di fronte, ne sfioro con la punta delle dita la superficie scabra, umida. Mi avvicino a guardare più attentamente. Scopro improvvisamente quanta vitalità può contenere un intonaco segnato dal tempo. Ha dei passaggi tonali interessantissimi. Non ne avevo notato da lontano una tale bellezza. Mi piacerebbe dipingerla se solo avessi una tela e dei colori! Ma qui mi hanno proibito di fare certe “schifezze”… Se grattassi un po’ di quel mattone avrei del rosso…le muffe andrebbero benissimo sia per il blu che per il giallo…No, non va assolutamente! Devo provare a fare una nuova richiesta. Forse se mi mettessi in ginocchio ai piedi del direttore…No! No! Vorrebbe dire umiliarmi. Comunque io ci ho provato lo stesso. Sono passati tre giorni ed ancora non ho ricevuto nulla!

16 aprile 1912-“…Finalmente! Finalmente! Finalmente! Finalmente un sollievo dalla sofferenza! Finalmente carta, matita, pennelli, colori per disegnare e per scrivere. Erano una tortura le ore selvagge, confuse, crudeli, quelle immutabili, informi ore grige che dovetti trascorrere privo di tutto, tra i muri nudi e freddi, come un animale…” (20). E’ come se improvvisamente si fosse spalancato su di me un grandioso cielo aperto e tutti i meravigliosi profumi della libertà si fossero impadroniti della cattiva aria di questa mia prigione. Ora posso finalmente respirare! E’ come se in questi giorni fossi caduto in un claustrofobico tunnel sotterraneo, buio, umido e con pochissimo ossigeno. Ora con la pittura mi è sembrato di riemergere, rivedere finalmente la luce del sole! Respirare a polmoni a perti aria fresca e pulita! Ho voglia di dipingere un albero (fig.12) con il cielo e la terra uniti da una sottile linea di orizzonte. Non c’è differenza effettiva. La sostanza, la materia sono sempre le stesse. Tra cielo e terra solo il colore è contrasto. La vitalità è comune ed o ne possiedo il suo incessante movimento. Penso a quest’albero spoglio che penetra e pulsa nel cielo carnoso, come se cercasse ed allo stesso tempo donasse sostanza di vita. Terminazioni nervose nei suoi rami; tutt’attorno è fluida agitazione. L’albero è il tramite tra il cielo e la madre terra. Per suo tramite penetro e posseggo contemporaneamente il concreto e l’etereo, il reale e l’immaginario. Attraverso il mio albero ritorno bambino. Forse soltanto pensiero. Addirittura forse soltanto pura energia. Questo è il mio quadro della vita, ma anche e soprattutto della morte, perché la morte non è la fine di tutto. La morte non è altro che il dolce risveglio dal sonno della vita.

RICOMINCIARE ANCORA

 MA QUALE PROVA
 DI QUESTO ESSERE  "ANIMA"
E' MIGLIORE DELLO SVEGLIARMI IERI NEL RICORDO DI DOMANI?

AVERE IN PUGNO LA GRANDE POTENZA DEL VEDERMI GIA' MORTO E RINATO
NEL SOGNO E NEL SEGNO DELLA GRANDE MADRE NASCOSTA
MI ESALTA E MI APPAGA
 
PER  TUTTO QUELLO CHE ORAMAI NON VOGLIO PIU' CHIEDERE
PERCHE' ALTRIMENTI COMINCEREI DACCAPO
E DACCAPO NON POSSO
IL DOLCE RICORDO RIMANE A NUTRIRMI
SEMPRE
COME SE FOSSE LA PRIMA VOLTA


ESTREMI

ESTREMI DI UNO STESSO ESSERE

FRATELLI INSCINDIBILI
SENZA POSSIBILITA' ALCUNA
DI PRETENDERE UNA STRADA DIVERSA

DIVIETO ASSOLUTO DI  AMARE SE STESSO PIU' DELL'ALTRO DA SE

DIVIETO ASSOLUTO COME UNICA LEGGE
CREATA ED ODIATA
PER NON CADERE NELL'INGANNO DI SCAPPARE LONTANO

CREATA ED ODIATA
PER NON MORIRE DISSANGUATI DI PENOSA NOSTALGIA
 
CREATA ED ODIATA
PER POTER CONTINUARE AD AMARE


SPECULAZIONE NOSTALGICA

QUANDO TI VIDI ALLO SPECCHIO
MI ACCORSI CHE NON STAVI A ME INDICANDO LA VIA

AD ALTRO DA ME  RIVOLGEVI LE TUE GRADEVOLI PAROLE DI FIORI
ANCHE SE  NESSUNO RIUSCIVO A VEDERE

SEMPRE HO CREDUTO DI ESSERE L'UNICO TUO DESIDERIO
  PERCHE' UNICO E SOLO CHE IO POTESSI SENTIRE

ALLORA CAPII CHE DENTRO IL TUO CORPO DOVESSI LEGGERE L'ANIMA
ANCHE SE  QUESTA LONTANO DA TE MI PORTAVA

IN VITA MI CHIESI SE DA DENTRO IL TUO CORPO SI POTESSE FUGGIRE
SENZA CAPIRE  CHE TUTTO SI FOSSE GIA' CONSUMATO

ORA  SO' COMPRENDERE COSA IL CUORE MI SUGGERIVA DA TEMPO
E SENZA VERGOGNA MI ACCINGO A CREARE IL NOSTRO LUOGO
 
 SENZA RISPOSTA PRETESA ATTENDO LA TUA OMBRA
COME QUELLA DELL'ALBERO CHE ALL'ALBA DI OGNI NUOVO GIORNO
MI VIENE VICINO


LA MEMORIA CHE RESPIRO

 POSSEGGO QUELLO CHE RICORDO DI TE

IL TUO PROFUMO SI ESPANDE ANCORA AL MIO INTERNO
MA ALTRO NON E'
CHE IL MIO PENSIERO
CHE CORRE PAZZO E PIU' VELOCE DEL TEMPO

LAMPI DI LUCE NEGLI OCCHI IN CUI ERO ABITUATO AD ENTRARE
DURANTE I NOSTRI INFINITI GIOCHI D'AMORE
 
 STANCHI DI VITA E PROSSIMI ALLA GLORIA
 SENZA  PAROLE MAGNIFICHE
ED AZIONI  ELOQUENTI
ORA CI SODDISFIAMO IN SILENZIO
RESPIRANDO IL RICAMO DEI NOSTRI STESSI ANTICHI PROFUMI


QUEI  COMUNI SENTIMENTI

LIMITATI
QUEI COMUNI SENTIMENTI
DI CHI NON VUOLE CAPIRE CHE
  IL VERO DELLA PROPRIA ANIMA NON E' SOLTANTO UNO SPECCHIO

IMPOSSIBILE A LUI
 RACCONTARSI LE DOLCI POESIE DEL PENSIERO
CHE INVECE LIBERO VOLA SULLE TESTE DEI SUOI DECAPITATI

FELICE INVECE E' CHI SOLO RIESCE A CREARE
SENZA L'AUSILIO DI ALCUNO
SENZA LA FORZA DELLA RAGIONE PERDUTA

FELICE E' CHI OSSERVA IL CIELO STELLATO
E LIBERO DEI SUOI STESSI LEGAMI SI FONDE CON ESSO
IMPAZZENDO DI GIOIA
SENZA PIU' IL SENNO CHE LO TENEVA LONTANO
DALL'ESSERE UNO DI TUTTO
 E NON UNO DEL TUTTO

FELICE E' CHI HA SMESSO DI RICONOSCERE
IL SUO STESSO RESPIRO COME UNO DEI TANTI
SENTENDO IL SUO ODORE PARTENDO DA DENTRO
E DENTRO ANCORA FINO LE STESSE SUE VISCERE
E POI FUORI LONTANO OLTRE LE STELLE

E' BEATO COLUI IL QUALE TAGLIA I LEGAMI DELL'IPOCRITA RAGIONE
E PAZZO CORRE VELOCE
VERSO QUELLA LIBERTA' PER LA QUALE NON C'E' ALTERNATIVA
NUDO DI TUTTO
LIBERO
FINALMENTE LIBERO
ANCHE DELLA STESSA SUA VITA!


IL DIO INTERIORE

OGNI TANTO CHIUDO GLI OCCHI
PER VEDERCI PIU' CHIARO
OPPURE TRATTENGO IL RESPIRO
PER MEGLIO GUSTARE L'INCANTO DI UN NUOVO PROFUMO

IERI MI SON RICORDATO LA MELA DELLA SCORSA STAGIONE
E MI SONO SFAMATO

DOMANI IN SILENZIO PARLERO' ALLA MIA GENTE
E SPIEGHERO' LORO CHE SENZA L'ANIMA
NULLA PUO'


LE ALI
FELICITA' DELL'ANIMA

QUALE  FELICITA'  MI PRENDE DA DENTRO E MI DILATA LA MENTE
FINO ALLA PALPABILITA' CONCRETA DELL'ANIMA MIA
PIU' DEL VOLO SOPRA ME STESSO
LUNGO LA STESSA  MIA VITA

 IL FERMARMI A PREGARE IL  DIO CHE E' DENTRO DI ME
 MI DONA QUESTO  BENE INFINITO
E COME GIOIOSA ONNIPOTENZA
 MI RITROVO AD OSSERVARMI CON GLI OCCHI DELLA  MENTE
RINCORRENDO I PIU' RECONDITI, IMPOSSIBILI, DOLCISSIMI DESIDERI
CHE MAGICAMENTE  SI MATERIALIZZANO DENTRO DI ME
IN TUTTA LA LORO FRAGRANTE E PROFUMATA BELLEZZA
PROPRIO NELL'ATTIMO STESSO DEL LORO DIVENIRE PENSIERO

E' COME UN EBRO CULLARSI
IN CUI TUTT'ATTORNO E' LUCE E TIEPIDO CALORE

OGNI QUALVOLTA MI FERMO A PREGARE IL DIO CHE E' DENTRO DI ME
 ALZO LO SGUARDO
PERCHE' UN SOLE SPLENDENTE MI CHIAMA
SEMPRE
ANCHE QUANDO IL CIELO ALL'ORIZZONTE
SEMBRA ESSERE UN MURO SCURO  CARICO DI PIANTO

 


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