"IL MOBILE BAROCCHETTO IN LIGURIA" a cura di Julio Paniagua Marini
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Breve introduzione sulla situazione storica e culturale in Italia nel XVIII secolo
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L’abitazione settecentesca
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La produzione ligure e l’Europa
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L’ambiente genovese
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Gli arredi
a. Breve introduzione sulla situazione storica e culturale in Italia nel XVIII secolo
L’Europa nella prima metà del 1700 attraversa un periodo importante sia dal punto di vista politico che sociale: molte nazioni si assestano entro i confini attuali, consolidando la loro potenza militare e politica, conquistano colonie oltre gli oceani, fondano imperi vastissimi in Asia, nelle Americhe, in Africa.
Viceversa l’Italia è divisa in molti stati, molti dei quali direttamente o indirettamente nella orbita delle grandi potenze straniere, che influenzano non solo la vita politica ed economica, ma anche quella di costume. La Spagna era stata estromessa dalla penisola e la Lombardia era diventata parte dei domini austriaci; in Toscana un’ altra famiglia legata all’Austria, i Lorena, aveva sostituito i Medici; il ducato di Parma, estintisi i Farnese, era passato in una ventina d’ anni ai Borboni, poi all’Austria, poi di nuovo ai Borboni; il Regno di Napoli, in altre parole tutta l’Italia meridionale, era passato ugualmente dalla Spagna ai Borboni ed esso, dopo varie vicende,viene congiunto alla Sicilia; la Sardegna era stata annessa al Regno di Piemonte.
Questi mutamenti del quadro dinastico comportano, indirettamente, anche un inserimento dell’Italia nella vita politica, economica e culturale europea (Napoli, Torino, Parma, Firenze sulle quali gravano gli interessi delle potenze citate, cercano di imitare nelle loro modeste corti Parigi, Vienna o altri centri di cultura) e quindi un suo sprovincializzarsi, un uscire dal suo isolamento per essere assorbita in un processo di rinnovamento che corre per l’Europa.
La divisione politica, che permette il formarsi anche di scuole d’arte minore locali, crea un’altra grave situazione di svantaggio. I piccoli stati italiani, se si esclude Venezia, non possono competere con i grandi stati, difesi dalle barriere doganali per incentivare la produzione local e sono, quindi, costretti a lavorare per una committenza interna, generando in tal maniera una sorta di atrofia commerciale e culturale. Peraltro, non era certamente nell’interesse di nessuna dominazione straniera limitare la produzione di manufatti locali o favorire artisti e artigiani forestieri con il rischio di provocare, o meglio di aumentare, proteste e malcontenti.
Nel primo settecento la nostra cultura aderisce al razionalismo cartesiano, allora alla base del pensiero contro la cultura e la letteratura del seicento. L’accoglimento del razionalismo cartesiano comporta la riduzione alla ragione degli impulsi del sentimento, sfrondando così la psicologia dell’età barocca incline ad esplorare zone oscure dell’animo; comporta quindi la delineazione di un uomo ideale nel quale impulsi e passioni sono frenati, equilibrati; comporta una letteratura d’estrema lucidità ma anche di estrema eleganza.
Tuttavia, il movimento letterario ed intellettuale che più si addice al decorativismo barocchetto e rococò è senza dubbio l’Arcadia, che ebbe un enorme peso nella vita sociale della penisola, esaltando la vita pastorale ed una natura troppo artificiosamente semplice. Grande era la necessità di trovare un linguaggio semplice e spontaneo, che rispondesse in poesia all’esigenza di chiarezza e naturalezza diffusasi in tutta Europa attraverso i principi del pensiero cartesiano.
L’ Accademia di Arcadia, sorta a Roma nel 1690, diviene un grande centro di politica culturale poiché, soprattutto per la sua capacità d’irradiamento nello Stato della Chiesa e nelle capitali, si pone quale strumento adoperato dalla curia romana per assorbire, controllandone gli eccessi pericolosi, il razionalismo ormai dominante nella cultura, legando quindi alle proprie direttive gli intellettuali italiani. Oltre ai salotti arcadici, altri luoghi d’incontro sociale sono i teatri, che nel ‘700 assumono la struttura moderna, e le famose botteghe del caffè, luoghi di incontro in cui i cittadini ed i forestieri, nobili e borghesi, hanno la possibilità di scambiarsi opinioni ed idee.
Nel XVIII secolo si denota anche la tendenza ad assumere un atteggiamento superficiale sul piano culturale, divenendo comune un interesse per molteplici aspetti del sapere senza approfondimento.Questa tendenza ha delle ripercussioni anche nel gusto: si rinnovano ad ogni istante gli arredi, emerge un enorme commercio di suppellettili, di oggetti curiosi e futilissimi, si delinea un frenetico inseguimento della moda.
I protagonisti di questo modus vivendi, nobili e ricchi borghesi, assediano gli artigiani non per il gusto di comperare oggetti che catturano l’interesse personale, ma per esibizione, per speculazione, per adeguarsi al gusto imperante e per non essere inferiori agli altri. E’ lontano il tempo in cui il mecenate rinascimentale o il signore del seicento raccoglievano oggetti d’arte con intento culturale e per accrescere la gloria del proprio nome e della stirpe. La moda arcadica non risparmia la decorazione murale, con paesaggi agresti, e i mobili, con motivi pastorali, medaglioni dipinti, fiori. Non mancano tuttavia letterati che osservano con tono satirico o più sicuramente critico i difetti, i vizi, la superficialitàdella nobiltà o della grande borghesia dei finanzieri e dei grossi mercanti.
Dal punto di vista decorativo ed architettonico il barocchetto ed il rococò non hanno né lo slancio, né l’originalità dell’arte barocca. Le architetture non si differenziano dalle costruzioni precedenti e più che creare nuovi modelli si limita ad abbellire, a rimpicciolire, ad ornare quelli proposti dal barocco. A volte anzi, il nuovo secolo lascia intatte le strutture esterne dei grandiosi edifici secenteschi e si rifugia all' interno dove crea locali ristretti e piccoli appartamenti. E’, in fondo, negli interni che la fantasia di quell’epoca trova le sue espressioni più felici; in questi il barocchetto si affida molto al gioco armonioso di effetti dei colori, in cui le arti minori acquistano un posto di predominio.
Tutto è più accurato che sontuoso con più finestre, più balconi, i giardini sono arcadici, con statue, terrazze, fontane, grotte, mentre i mobili rococò rivelano un abuso di ricci, fiori, nastri, tralci di vite, conchiglie, animali domestici, puttini, cascatelle d’acqua, il tutto disciplinato in un disordine regolare. Inoltre, più che per l’invenzione di nuove tipologie fondamentali, i mobili di questo secolo si distinguono da quelli dell’epoca precedente, oltre che per le piccole proporzioni, per la varietà dei sottotipi e per il carattere dell’esecuzione.
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b. L’ abitazione settecentesca
Il “barocchetto” è da considerarsi lo stile architettonico di transizione fra le forme del seicento e quelle del settecento, stile che trasforma gli appartamenti in comode ed agiate dimore. Si sente infatti la necessità di mutare gli ambienti solenni e grandiosi del secolo precedente in locali più piccoli ed intimi, adatti alle nuove esigenze di vita più raffinate e meno magnificenti. Se nelle case del seicento tutti gli ambienti erano sacrificati alla ostentazione fastosa, costringendo la vita ordinaria in locali angusti e rinunciando ad ogni comodità ed agio, in quelle del secolo successivo si tende a separare nettamente i locali adibiti ai ricevimenti e di rappresentanza da quelli riservati alla famiglia ed alle sue comodità.
Le nuove abitazioni avevano un numero doppio di locali, ciascuno dei quali è specializzato ad un uso ben determinato, così come anticamere, sale d’aspetto, sale da pranzo o da caffè, salotti da estate o da inverno, aule per i balli e per le cerimonie, il tutto fiancheggiato da guardaroba e da stanze da letto.
Anche i soffitti si adeguano alla generale trasformazione delle abitazioni, si adornano di stucchi leggeri, morbidi e sinuosi; le pareti, coperte non più da freddi marmi od affreschi, ma da stoffe (il più delle volte le stesse che ricoprono sedie, divani e poltrone) racchiuse da cornici dorate o da tappezzeria di carta orientale o inglese ovvero da rivestimenti di legno. La calda materia del legno è spesso utilizzata anche come pavimento sostituendo il gelido marmo ed il mosaico. Anche i camini monumentali rinunciano alla loro antica maestà senza le antiche cappe grandiose, ma conservano le grandi specchiere che hanno il compito di moltiplicare all’infinito con il proprio riflesso i lampadari ed i mobili con l’aiuto di un altro specchio collocato di fronte al camino sopra una consolle.
Il Marangoni definisce bene la specchiera osservando che “quest’elemento decorativo rappresenta e sintetizza la leggerezza, la fragilità, l’appariscenza e la vanità, crea illusioni, ricerca atteggiamenti e gesti e nella solitudine conforta l’animo riflettendo la visibile compagnia di sé stesso”.
Anche il mobile, elemento principale dell’arredamento, segue l’evoluzione stilistica degli ambienti, ormai rimpiccioliti ed aggraziati, diventa meno monumentale e più gentile. Scompaiono i grandi armadi dalle linee architettoniche rigide sostituiti da mobili meno ingombranti nei quali è imperante la linea curva armonica ed aggraziata. Quando non è possibile rinunciare alla linea retta per ragioni strutturali, sono gli ingegnosi disegni che tolgono ogni rigidezza, donando al mobile leggerezza e movimento.
Un’ altra caratteristica del mobile settecentesco è la sua costante asimmetria nelle parti e negli ornati; la fantasia ornamentale degli ebanisti è di rigore. Sulle mensole, sulle tavole, sui mobiletti d’angolo (i quali nascondono all’occhio le linee troppo marcate e rigide degli angoli degli appartamenti), si moltiplicano i soprammobili: statuine galanti o scene pastorali, tazze e vasi di Meissen o di Sévres, orologi a pendolo in bronzo dorato fiancheggiati da due candelabri…
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c. La produzione ligure e l’Europa
Si deve sottolineare che, particolarmente nel mobilio provinciale di qualità, quale potrebbe essere quello italiano in genere e quello ligure in particolare, in ogni epoca si sommano ai canoni stilistici correnti, elementi provenienti dalla vena decorativa popolare tipica di ogni regione. Tale circostanza da luogo ad una produzione di mobili regionali che presentano caratteristiche proprie anche di fantasie d’arte (ad es. il tipico e caratterizzante quadrifoglio genovese) rispetto ai mobilieri dei grandi centri di produzione europea, come Parigi. Questi ultimi, infatti, si rifanno ai prototipi spesso disegnati da architetti veri e propri che si ispirano, direttamente, alle loro opere maggiori, portando spesso in tale maniera alla riduzione della funzione prima del mobile stesso e creando in sostanza un non-mobile.
Tale aspetto negativo non si rileva nel mobile provinciale italiano o minore. L’artigiano, in questo caso, prende primariamente in considerazione la funzione del mobile, per poi curare solo successivamente l’elemento decorativo, che necessita un maggior equilibrio proprio a causa della struttura più semplice e lineare del mobile.
L’Italia del ‘700 a contatto con la cultura europea esce dal suo isolamento e dal formalismo accademico che la caratterizzava, ma perde un poco il ruolo di guida artistica europea, almeno per quanto concerne l’arte di costruire mobili.
Ciò non vuol significa che dal ‘700 l’Italia ripeta tutto quello che la Francia e l’Inghilterra le suggeriscono, ma bisogna riconoscere che l’evoluzione e la perfezione tecnica e stilistica ormai raggiunta dai mobilieri francesi Reggenza e Luigi XV, ancor più degli arredi di stile “Chippendale” inglese, fanno sentire il peso della loro importanza nella formazione del gusto italiano. Ma le influenze straniere non vengono percepite con la stessa intensità in tutte le regioni d’Italia o interpretate in maniera unisona, e danno così luogo alla creazione di un’ arte tutta italiana di costruire mobili.
Grosso modo possiamo distinguere i mobili italiani del ‘700 raggruppando i principali centri di produzione in due zone: la prima comprende Emilia, Toscana, Veneto, Lombardia, Piemonte, Liguria, e cioè le regioni settentrionali e centrali dove maggiormente si fa sentire l’influsso straniero; la seconda include, invece, Lazio, Campania, Sicilia e cioè le regioni centromeridionali dove le influenze inglesi e francesi risentono maggiormente dell’ascendente barocco.
Molto importante, per una più profonda valutazione dei mobili genovesi del tardo ‘600 e del ‘700 è la questione dei rapporti con la Francia, che pur esistendo, per quanto riguarda gli arredi, anche nei secoli precedenti, si intensificano in modo particolare alla fine del XVII con la revoca dell’editto di Nantes. Questo editto fu firmato da Enrico IV di Francia il 23 Agosto 1598 il quale ebbe l’intelligenza di non credere indispensabile all’unità nazionale l’unità della fede e con questo editto garantì agli ugonotti libertà di culto e di coscienza, ma proibì loro di darsi un vero e proprio capo, con ciò proponendosi come un precursore della moderna libertà di pensiero. A seguito della sua revoca, avvenuta nel 1685 per mano di Luigi XIV, si verifica, specialmente dal punto di vista economico, un grave danno per la Francia: centinaia di migliaia di calvinisti, che avevano nelle loro mani la maggior parte del commercio e della industria francese, emigrano in Olanda, Germania, Inghilterra ed Italia.
Anche il mobile risente, a causa di queste “infiltrazioni”, una netta tendenza francesizzante, pur mantenendo quella sobrietà e finezza di linee che lo caratterizzerà in tutto il periodo della “Grande Epoca”.
I bronzi eccessivi del mobile francese vengono ridotti all’indispensabile, pur conservando una cesellatura finissima ed una ricca doratura; si tenga presente che i doratori genovesi vengono considerati i migliori del tempo, a volte, infatti, arrivano a sostituire il bronzo con il più prezioso argento. Come la Francia, Genova usa preziose essenze esotiche: ebano, palissandro, mogano, legno di rosa e violetto, pur senza tralasciare l’ulivo ed altre essenze locali quali il carrubo, il ciliegio, la quercia, il noce, il rovere; si riconosce invece una certa parsimonia negli interni dei mobili da loro costruiti per i quali adoperano legno di pino, abete marittimo ed altre qualità di scarso valore commerciale.
Inoltre i genovesi, con i torinesi, sono i primi ed i più solleciti, fra gli artigiani italiani, ad accogliere il modello parigino. Questo non solo per la vicinanza geografica, ma anche poiché, sin dai tempi di Enrico IV, Parigi era diventata il punto di riferimento delle mode europee, e non era certamente nelle possibilità degli artigiani italiani di opporsi al gusto imperante in tutta Europa.
L’influenza francese è anche imposta dalle vicende politiche attraversate dalla Superba dapprima sotto la prepotenza del Re Sole e poi sotto gli amabili Luigi XV e Luigi Filippo d’Orleans; i loro ambasciatori, messi, generali e marescialli amanti anch’essi della vita elegante e raffinata, insieme ad architetti militari e disegnatori sono validi propagandisti della moda parigina.
Tra i principali committenti vi sono anche ricchi borghesi che si arricchisconocon azioni mercantili ed abili speculazioni. Accolti con sospetto dall’antica casta feudale, si sforzano di essere pari alla condizione di quest’ultima attraverso lo splendore esteriore e l’adeguarsi alla moda. Il tono tipicamente genovese, tuttavia, è sempre dato dalla vecchia aristocrazia.
Ogni casa si fa più gaia e soprattutto più ospitale: il mobile si alleggerisce, diventa più pratico, adattandosi alle nuove esigenze create dal gusto per la conversazione, per il gioco, per le riunioni musicali, letterarie, mondane. I modelli vengono estratti dai cahiers che i calcografi francesi spargono per tutto il mondo. Fra i primi propagandisti dell’arte decorativa francese può essere incluso Francesco Borgone, nominato da Luigi XIV “peintreordinaire du roi” ed incaricato dallo stesso di scegliere a Genova i marmi per il castello di Versailles.
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d. L’ambiente genovese
Genova era da secoli opulenta e sfarzosa; la sua stessa attività marinaresca e mercantile l’aveva abituata ad un tono di vita regale, dove imperavano le più raffinate espressioni della bellezza, prodotte localmente o importate da ogni paese del mondo. Già nell’anno dell’ avventuroso viaggio di Colombo, il re di Francia Luigi XII, confessava che le dimore genovesi superavano in lusso la sua reggia. Ancora nel 1688, dopo quasi 200 anni, così constatava Galeazzo Gualdo Priorato: “gli addobbi [delle case di Genova] poi sono così preziosi che sembrano piuttosto abitazioni di principi che di privati. Non vi mancano tappezzerie finissime, pitture eccellenti, galanterie curiose e altre cose convenevoli alla grandezza e alla magnificenza”. Pier Paolo Rubens, una trentina di anni più tardi, passando per la Superba, fu colpito ed ammirato dalla regale maestà dell’ambiente genovese.
Invano, per quasi cento anni, il Magistrato della Pompa, uno speciale organo della Repubblica incaricato di frenare con la massima severità gli eccessi del lusso, aveva cercato di impedire alle famiglie più illustri e più agiate di Genova di aumentare le espressioni e le materializzazioni della ricchezza. Nel 1655 il Magistrato della Pompa viene soppresso per ordine del Senato ed il barocco esplode a Genova con la corsa degli architetti, dei pittori, degli scultori, dei mobilieri, degli arredatori, intenti ad arricchire ed abbellire, di dentro e di fuori, ogni palazzo, ogni chiesa, ogni villa, moltiplicando le volute della linea curva, esasperando il fogliame dell’acanto ereditato dall’antichità classica, inserendo figure mitologiche ed angeli su strutture architettoniche, con concezioni nuove, con prospettive sorprendenti, rompendo i canoni dell’ equilibrio e misura del Rinascimento.
Rubens e poi van Dyck trovano in Genova l’ambiente pronto ad accoglierli: le grandi famiglie genovesi sono aggiornate in fatto di arti figurative e non sono sorprese dalle novità. Le loro quadrerie, che già contengono opere di Tiziano, del Veronese, del Tintoretto, dei Bassano ed anche dei Carracci, del Guercino, e del Reni, sono aperte alla pittura fiamminga, che in Genova è di casa.
Molti valenti artisti liguri, la cui personalità rimane tuttora da ricostruire, offrono spunti o addirittura forniscono disegni e consigli agli arredatori delle dimore genovesi, tanto della vecchia nobiltà quanto della ricca borghesia che viene aprendosi la strada nelle cariche della Repubblica.
E’ Roma, come scrive il Morazzoni, il punto d’origine del barocco e del rococò (continuatore appunto dei modi barocchi): sono il Bernini e l’Algardi i maestri degli architetti, dei pittori, degli scultori genovesi del Sei e del Settecento che, in Roma, compiono il tirocinio.
Con il termine “barocchetto” gli storiografi neoclassici, dispregiatori del barocco, intesero la continuazione dell’idea formale seicentesca e ne diedero un giudizio negativo di decadenza. Barocchetto, quindi bizzarro, ridicolo, indicante la variante alleggerita e la leziosità della decadenza barocca: questa la condanna che la critica neoclassica fece della leggerezza, della fantasia, dell’arcadismo, delle grazie settecentesche.
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e. Gli arredi
Nella Repubblica di Genova la protezione accordata agli ebanisti è appannaggio della ascendente borghesia, al contrario di altre regioni, ove era prerogativa delle case reali. Intagliatori ed ebanisti erano chiamati “bancalari”; documenti di archivio ci informano che fin dal 1240 esisteva a Genova una corporazione di bancalari che erano gli unici ad avere la possibilità di produrre mobili. Spettò quindi ai bancalari il compito di alleggerire la pesante architettura dei mobili barocchi e di evolvere le forme verso linee più morbide.
La produzione mobiliare genovese, così come quella di tutto il restod’Europa si distingue in due categorie: quella che ci viene presentata dallo stipettaio, dal bancalaro, e quella che è stata elaborata dallo scultore e dall’intagliatore.
Considereremo maggiormente gli arredi che per originalità caratterizzano questo particolare periodo.
Il mobile al quale gli ebanisti si dedicano con maggiore attenzione è il cassettone, derivante dalla antica cassa nuziale.
E’ l’epoca del trionfo delle curve e delle controcurve, ma nonostante l’apparente libertà non si vuole fare a meno della proporzione e della comodità; l’ebanista crea un movimento ondulato sia nella facciata che nei fianchi in maniera sincronizzata e spontanea senza eccessi stravaganti. Questo accade perché il modello francese aulico a Genova non è copiato ma interpretato e adattato al nuovo ambiente sociale ed architettonico; si ha quindi una revisione di modelli esercitata nella modificazione e nella semplificazione di parti accessorie.
I genovesi pur ammirando l’opulenta e fantasiosa bellezza dei bronzi cesellati e dorati del mobilio aulico parigino, sentono il bisogno di alleggerirli proprio per l’eccesso di ricchezza (Fig.1). Al genovese bastano una cartella movimentata per la toppa della chiave, e delle maniglie mosse e ben frastagliato al punto di appoggio, delle piccole ciabatte, ornate da foglie d’acanto e da cartigli, da infilare ai piedi del mobile che qualche rara volta reca dei leggeri riporti bronzei sugli spigoli, nella terminologia dei mobilieri genovesi chiamati “cascate”. Vengono denominati in tal maniera a causa dei mirabili cartigli, fiori e fogliame che, come una cascata, scendono da teste infantili o muliebri, oppure si staccano da mascheroni e putti (Fig.2).
Il bancalaro usa, inoltre, lo “scussà”, specie di cartella centrale che si sviluppa variamente al margine inferiore di cassettoni, bureaux, comodini, armadi. Anche il legno è usato e valorizzato con maestria: le sue fibre sono distribuite in modo sapiente. Tutti i mobili, dal corpo piuttosto voluminoso e compatto e con specchi a vasta superficie, perdono ogni pesantezza grazie alla scomparsa della monotonia del color. La lamina dell’impiallacciatura, infatti, non è quasi mai presentata con la fibra rivolta in un solo senso, ma viene applicata a spina di pesce e con un taglio particolare che lascia congiungere le fibre, in modo da creare un movimentato gioco di luci e colore convergenti.
Ad arricchire facciate e fianchi provvede un grosso fiore quadrilobato di un legno contrastante con il fondo ravvivato a sua volta dall’incontro di fibre disposte a spina di pesce; compare per la prima volta, alla fine del XVII secolo, ed ancora oggi è un motivo di derivazione ignota. Questa specie di fiore dai lobi cuoriformi, spesso moltiplica i suoi petali ed assume l’aspetto di un immensa margherita o di grande rosolaccio; a questi motivi se ne aggiunge un terzo con propaggini laterali a guisa di fogliame o di cartigli. Non è detto però che tutti i mobili genovesi debbano avere i caratteristici quadrifogli: possono essere semplicemente impiallacciati od avere degli intarsi floreali sul tipo di quelli francesi, con la differenza che raramente l’intarsio floreale invade le intere superfici del mobile, preferendo appunto disporsi con maggiore discrezione sulla parte inferiore dei fianchi e tendendo ad espandersi nella sola parte centrale. Questi motivi ,neimobili di maggiori pretese, sono racchiusi entro grandi cartelle variamente sagomate ed intarsiate con essenze di vario colore.
Similmente alla moda francese, il cassettone ha sempre due grandi cassetti ai quali se ne sovrappone, verso il piano, un terzo assai basso, spesso diviso a metà: tutti questi cassetti formano un tutto con il corpo del mobile, non essendo separati fra di loro da nessuna cornice o traversa limitatrice.
In alcuni casi l’ebanista propone mobili intarsiati a motivi floreali naturalistici, stendendo ramoscelli di fiori veristici intrecciati a leggeri cartigli. In rarissimi casi, nella prima metà del settecento, sempre con misurata sobrietà, si è ricorso ad intarsi di madreperla, scegliendo laminelle che per la loro intonazione cromatica si ambientassero armoniosamente con le essenze lignee. Il ripiano dei cassettoni è quasi sempre di marmo ben sagomato, broccatello di Spagna, breccia di Francia, verde di Valpolcevera, Fior di Pesco, verde delle Alpi; ma altre volte è impiallacciato e decorato con il solito impiego di fibre in senso diverso.
Indubbiamente, come dicevamo in principio, il modello è rintracciabile nell’arte francese, la cui moda fu favorita anche dalle condizioni politiche e dal costume sociale della Genova settecentesca; ma tutta ligure è la realizzazione senza eccessi di linee e di decorazioni.
Se paragoniamo quello ligure al cassettone lombardo o veneziano, è evidente il suo essere totalmente privo della austerità del primo e della ricchezza ora strutturale ora decorativa del secondo. Comunque, insieme al piemontese, costituisce una delle commode più eleganti prodotte in Italia.
Dal cassettone derivano il bureaux semplice (Fig.3) ed il bureaux con alzata. Nel bureaux semplice risalta l’abilità con la quale il complicato stipetto è stato celato dal piano calatoio che, grazie alla ben studiata inclinazione della ribalta, acquista snellezza; nel bureaux con alzata si ha la completa armonizzazione del gioco delle curve e delle convessità del mobile sottostante con il corpo sovrastante. L’ alzata non è più quindi un corpo sovrapposto al bureaux, ma il suo logico e naturale prolungamento, tanto da sembrare un’opera fusa. Lo sviluppo verticale è ammorbidito dalla rinuncia alle fantasiose e movimentate cimase tipiche di Venezia: il genovese si accontenterà di porre, neanche tanto di frequente, un sobrio ornato scolpito e dorato (un vasetto, una conchiglia, un cartiglio).
Il bureaux è una tipologia tipicamente settecentesca per la mania di mobili con diversi usi: quello con alzata avrebbe dovuto servire da cassettone, da scrittoio ed utilizzare l’alzata a vetrinetta per libri o per depositarvi le innumerevoli inutilità tipiche del tempo. Inoltre ricordiamo che i mobili a doppio corpo sono di ispirazione nord europea, e più precisamente tedesca ed olandese.
Accanto al cassettone ed al bureaux si colloca il tavolino da notte detto anche mobile da centro o d’appoggio, di ideazione genovese, legato alle due tipologie precedenti per affinità di formee caratteristiche (Fig.4). Notevolmente leggero, maneggevole, può essere anche collocato davanti ad un divano o ad una poltrona e presenta alte gambe. L’ ebanista, fra il piano ed il corpo del mobiletto, ha realizzato uno spazio vuoto per infilarvi riviste, libri e, celato in un fianco, ha creato un piccolo segreto sottoforma di un minuscolo tiretto. Il tavolino è quasi sempre munito di piano in marmo, altrimenti impiallacciato, e reca sui fianchi maniglie di bronzo cesellato, qualche volta anche dorato, per facilitare il trasporto del piccolo mobile da un punto all’altro del salotto. La sobria decorazione bronzea delle maniglie ripete i motivi lignei delle “pellaccette”, elementi decorativi intagliati che assomigliano vagamente ad una valva asimmetrica di conchiglia.
Sovente il cassettone, il bureaux con alzata ed il comodino si trovano riuniti nella stessa stanza da letto.
Il cantonale, altro mobile a superficie mossa ed altra novità settecentesca, fu molto amato da genovesi, piemontesi e napoletani che se ne servirono per smussare la rigidità degli angoli delle stanze, ornarle ed ammorbidire l’ambiente (Fig.5). Può essere chiuso da uno o due sportelli, sul piano può portare una specie di scaffaletto costituito da piccole mensolette degradanti e non è raro trovarne un terzo tipo a due corpi, dei quali il superiore a credenzino, alto e simile all’alzata del bureaux.
Il mobiliere genovese non è arrivato al senso delle proporzioni ed alla eleganza delle curve improvvisamente, ma attraverso una lenta successione di trasformazioni delle varie tipologie, così, ad esempio, nel caso del cassettone. Dalla monumentalità secentesca e dalla tipologia a quattro tiretti e con la facciata ed i fianchi diritti si passa timidamente alla fine del ‘600 ai primi movimenti creati da piccole mensole sporgenti alle estremità laterali del mobile. Basse sono ancora le gambe ed i cassetti sono ancora tre grandi ed uno più piccolo. L’ultimo cassetto inizia a muoversi mediante un timido festone nel suo profilo inferiore. Nel 1730 circa la curva conquista i fianchi dando loro movimento; nel frattempo le gambe si sono allungate e snellite, i cassetti formano un tutt’uno con la facciata.
Nello studio e nella biblioteca, ambienti assai importanti nel settecento, oltre ai mobili da parete, che erano imponenti scaffalature funzionali, munite di sportelli nella parte inferiore, colpiva la bellezza di uno scrittoio, chiamato “diplomatico” derivato dal bureau plat francese. Sorretto da snelle gambe ad S, con il piede spesso vestito da ciabatte di bronzo cesellato, presenta nervose cordonature che profilano l’intero mobile, ed un piano quasi sempre allungato e sobriamente sagomato su tutti i lati.
L’intagliatore pone decorazioni a basso rilievo sulle gambe e sulle fasce, dove compaiono così cartigli, ramoscelli fioriti, cartocci, fregi, scorniciature. Piccoli bronzi piatti o cesellati sostituiscono l’ intaglio del piede e della coscia. Tuttavia lo scrittoio-tavolo più gradito è quello impiallacciato con essenze esotiche; sul piano si sostituisce spesso l’impiallacciatura con panno verde, con il cuoio o con il marocchino inciso a piccoli ferri dorati. Alle due estremità laterali la fascia si sviluppa in modo da poter contenere sovrapposti due o anche tre tiretti: il tavolo è diventato così una capace e pratica scrivania che meglio si adatterà a tale funzione quando sul piano si adagerà un basso stipetto con tiretti e segreti, munito di piano calatoio come quello del bureaux. Il piano calatoio con il tempo sarà sostituito da un rullo che farà agire un piano scorrevole per mezzo di guida appositamente predisposta. Lo scrittoio a rullo può essere da muro o da centro; se ne attribuisce l’invenzione a Jean-François Oeben che lo lanciò a Parigi verso la metà del ‘700 e come tipologia perdurerà anche durante l’epoca neoclassica, che concederà al mobile un’unica curva rappresentata proprio dal rullo.
Il tavolino da gioco, anch’esso elemento indispensabile nella abitazione del ‘700, è costituito da esili gambe e dal piano pieghevole in modo che da quadrato possa diventare triangolare (Fig.6). Per quanto semplice nella sua linea è questo sempre un mobile elegante, costruito con essenze esotiche. Il tipo più comune ha le fasce basse e sagomate ed il piano dal profilo diritto mentre quello di lusso, dal piede inguainato entro ciabatte di bronzo cesellato ha il profilo ondulato, gli spigoli arrotondati ed il piano intarsiato.
Grande è la presenza di molteplici tipi di tavolini, dalle esili gambe dalle dimensioni ridotte ma prive di angolosità, adorni di piccoli bronzi; il ‘700 è anche l’epoca d’oro dei mobili a doppio uso e con segreti, in cui è d’ obbligo ammirare l’ingegnosità delle trovate.
Dalla lavorazione dei mobili impiallacciati si passa poi alla produzione di mobili laccati che nulla hanno da invidiare a quelli di Venezia, allora maestra in tale campo, ed a quelli di altre città italiane (Fig.7). La lacca trova la sua applicazione preferita in consoles, cassettoni, comodini e testate di letto.
I bancalari semplificarono le tecniche dei veneziani diminuendo i numerosi strati di sandracca (fino a 15mani). Questo procedimento faceva sì che i mobili genovesi non presentassero la lucentezza della lacca veneziana efossero apparentemente più vicini ad un dipinto a tempera. Le superfici laccate dei mobili liguri sono abbastanza spoglie di sculture o di intagli ai quali si sostituisce la pittura ornamentale con riquadrature, volute di rami e di fiori, uccelli, paesaggetti, rovine, figurette “alla Callot”, il tutto realizzato con una vivace policromia o, nel caso degli ultimi temi accennati, con una leggera tinta azzurrina o in colore ruggine; la monocromia azzurra ricorda la decorazione delle maioliche di Savona (soprattutto i paesaggi) sui grandi piatti e vasi da farmacia. Questi mobili per il loro carattere più rustico che aulico come quelli veneziani, erano riservati all’arredamento delle grandiose ville che ogni famigliapatrizia possedeva lungo le due riviere.
I mobili intagliati come sedie, consoles, specchiere e soprapporte si distinguono dagli altri manufatti prodotti in Italia per la finezza e la grazia dell’esecuzione e per i motivi ornamentali: tralci fioriti, le cui corolle si aprono sul margine della luce delle specchiere, ninfe, amorini (di ispirazione dell’architetto, scultore e disegnatore di mobili Filippo Parodi, 1630-1702), foglie con roselline che ornano il fusto delle sedie e così pure ramoscelli di edera, di olivo, di felci o piante acquatiche, e la caratteristica “pellaccetta” (Fig.9). Cosi si presentano all’occhio, con libertà, leggeri trafori, reticolati, festoni sempre dominati dall’armonia e dal senso della proporzione.
All’opera dell’intagliatore e laccatore si aggiunge quella del doratore il quale è tra i più esperti ed abili di tutta la penisola: adottata la tecnica francese, ha ridotto al puro indispensabile il fondo di gesso in maniera da non diminuire la profondità dell’intaglio della scultura. Brunisce, inoltre, la sottile lamina d’oro dandole un caratteristico splendore. Spesso vengono applicatecontemporaneamente foglie d’oro verde, giallo e bianco, aumentando i giochi di luce.
Verso la metà del settecento, caratteristica del sediame genovese è la esilità dell’ossatura che nel dorsale appare sensibile, a causa della sua snella proporzione (Fig.10). La fascia del sedile, i montanti e le traverse dello schienale in generale sono stretti, profilati da nervature tondeggianti sulle quali, nei modelli ricercati, si appoggiano le decorazioni intagliate a bassorilievo. Il piede termina a punta e sostiene nervose gambette dalla linea flessuosa che presenta lievi intagli sulla coscia (Fig.11).
Tutta la produzionemobiliera di lusso, scolpita ed intagliata, anche se anonima, nel suo complesso strutturale e nei particolari, rivela sempre l’intervento animatore di un artista non sempre conosciuto.
Nella seconda metà del ‘700 anche a Genova si fa sentire l’ondata di rinnovamento del gusto che dopo le estreme eleganze del barocchetto si volge a forme lineari e talvolta austere.
Mentre in altre regioni italiane la moda dell’ ispirazione all’ antico produce arredi classicheggianti, nella seconda metà del ‘700 è ancora una volta la vicinanza della Francia ad influire sulla produzione genovese, con le linee diritte ma morbide del Luigi XVI.
Nel primo ottocento la moda “ufficiale” del neoclassicismo arriva anche a Genova, dove però resta limitata ad arredi di rappresentanza. Nei saloni dei grandi palazzi i mobili sono ora di mogano, con sobrie guarnizioni di bronzo, e in legno laccato di bianco e dorato. L’ intaglio ha sempre un posto importante nell’arredamento ligure, anche se la produzione di mobili sarà affidata per lunghi anni soprattutto all’inglese Enrico Peters, cui appartengono i pezzi più famosi dell’800 genovese.
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